«Quel
che più mi interessa non è né la natura morta,
né
il paesaggio, ma la figura.
La
figura mi permette ben più degli altri temi
di
esprimere il sentimento,
diciamo
religioso, che ho della vita»
(Henri Matisse, 1908)
Questo
fine settimana sono andata finalmente a vedere la mostra Matisse,
la figura. La forza della linea, l’emozione del colore
che
trovate a Ferrara al palazzo dei Diamanti fino al 15 giugno.
Matisse
è sempre stato uno dei miei preferiti.
Sicuramente
per il colore che riempie gli occhi quando si posano sulle sue tele,
per la ricchezza dei particolari e la bellezza degli sfondi – siano
quelli del periodo delle odalische che della stesura delle pagine di
Jazz – ma forse più di tutto, perché nonostante le
trasformazioni stilistiche delle sue opere nel tempo, la figura che
rappresenta maggiormente la sua arte è il corpo femminile.
Sembra
che, parafrasando la citazione del 1908, il sentimento religioso
della vita, passi inevitabilmente per quelle curve sinuose che
contengono la femminilità, espressa nel molteplice modo di godere
dello spazio delle modelle o della figlia, e di tutte le donne
rappresentate in quelle sempre più semplici linee che delimitano
comunque, col passare degli anni, la rotondità dell'esistere.
Che
siano volti o schiene, seni o cosce, nude o vestite, le donne di
Matisse sprizzano energia, è come se qualcosa di potente dovesse
emergere da un momento all'altro, nel tratto disobbediente di un
carboncino ma anche da quel bronzo che le modella, senza mai essere
rigido.
Di
fronte a quei nudi ci si sente a proprio agio, non si ha il timore
riverenziale che si prova ad esempio di fronte a una Venere
botticelliana, eterea nelle perfette proporzioni.
I
nudi di Matisse sono imperfetti, torniti, scavati, studiati e
modificati – nel caso del "Grande nudo seduto"
addirittura lavorato per sette anni (1922-29) – e spesso con segni
lasciati volutamente a testimonianza sulla tela, quasi a voler dire
che nessun corpo è uguale a se stesso per sempre.
Nell'enorme
quadro “Ninfa nella foresta” (1935) – che mi ricorda un tema
di cui abbiamo già parlato in altra chiave qui – le linee
che disegnavano i due corpi in un primo momento sono lasciate sotto
alle altre, quelle definitive, un po' per mostrare l'atmosfera
onirica e un po', mi piace pensare, come ostentazione di un cambiamento
che fa parte integrante dell'opera d'arte ma anche della vita.
Ammirando il susseguirsi di
queste forme nelle varie sale, non ho potuto fare a meno di notare
l'unicità di ogni angolazione, di ogni particolare, soprattutto
quando la modella oggetto del ritratto era la stessa, ma mai uguale.
L'artista ha sempre saputo
cogliere un dettaglio, la sfumatura dell'espressione dei volti
ritratti negli ultimi anni, essenziali pennellate nere, sapientemente
accostate sul foglio bianco.
Il nostro corpo, figura che
si staglia nello spazio che viviamo, è reso sacro nell'arte, mentre
sempre di più nella società viene scarnificato e oggettivizzato,
uniformato, perfezionato, in modo che si perda tutto ciò che è
sbavato, ombroso o forse, semplicemente umano.
Osservavo i corpi di
Matisse, così sinuosi e veri, e anche, quando ridotti all'estrema
semplicità come nei “Nudi blu”o in Jazz, così
terribilmente femminili.
Sono corpi abitati, dove le
donne sono padrone dell'ambiente, energia attiva che si mostra, senza
ridursi.
Dove anche l'errore
dell'artista nel ritrarle è considerato parte integrante dell'opera,
perché tutte le donne dovrebbero sfuggire a qualsiasi
classificazione rigida che le imprigiona, piuttosto che liberarle.
Buona settimana
virginia
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