lunedì 5 maggio 2014

Curve piene di vita

«Quel che più mi interessa non è né la natura morta,
né il paesaggio, ma la figura.
La figura mi permette ben più degli altri temi
di esprimere il sentimento,
diciamo religioso, che ho della vita»
(Henri Matisse, 1908)

Questo fine settimana sono andata finalmente a vedere la mostra Matisse, la figura. La forza della linea, l’emozione del colore che trovate a Ferrara al palazzo dei Diamanti fino al 15 giugno.
Matisse è sempre stato uno dei miei preferiti.
Sicuramente per il colore che riempie gli occhi quando si posano sulle sue tele, per la ricchezza dei particolari e la bellezza degli sfondi – siano quelli del periodo delle odalische che della stesura delle pagine di Jazz – ma forse più di tutto, perché nonostante le trasformazioni stilistiche delle sue opere nel tempo, la figura che rappresenta maggiormente la sua arte è il corpo femminile.





Sembra che, parafrasando la citazione del 1908, il sentimento religioso della vita, passi inevitabilmente per quelle curve sinuose che contengono la femminilità, espressa nel molteplice modo di godere dello spazio delle modelle o della figlia, e di tutte le donne rappresentate in quelle sempre più semplici linee che delimitano comunque, col passare degli anni, la rotondità dell'esistere.



Che siano volti o schiene, seni o cosce, nude o vestite, le donne di Matisse sprizzano energia, è come se qualcosa di potente dovesse emergere da un momento all'altro, nel tratto disobbediente di un carboncino ma anche da quel bronzo che le modella, senza mai essere rigido.





Di fronte a quei nudi ci si sente a proprio agio, non si ha il timore riverenziale che si prova ad esempio di fronte a una Venere botticelliana, eterea nelle perfette proporzioni.
I nudi di Matisse sono imperfetti, torniti, scavati, studiati e modificati – nel caso del "Grande nudo seduto" addirittura lavorato per sette anni (1922-29) – e spesso con segni lasciati volutamente a testimonianza sulla tela, quasi a voler dire che nessun corpo è uguale a se stesso per sempre.



Nell'enorme quadro “Ninfa nella foresta” (1935) – che mi ricorda un tema di cui abbiamo già parlato in altra chiave qui  – le linee che disegnavano i due corpi in un primo momento sono lasciate sotto alle altre, quelle definitive, un po' per mostrare l'atmosfera onirica e un po', mi piace pensare, come ostentazione di un cambiamento che fa parte integrante dell'opera d'arte ma anche della vita.



Ammirando il susseguirsi di queste forme nelle varie sale, non ho potuto fare a meno di notare l'unicità di ogni angolazione, di ogni particolare, soprattutto quando la modella oggetto del ritratto era la stessa, ma mai uguale.
L'artista ha sempre saputo cogliere un dettaglio, la sfumatura dell'espressione dei volti ritratti negli ultimi anni, essenziali pennellate nere, sapientemente accostate sul foglio bianco.

Il nostro corpo, figura che si staglia nello spazio che viviamo, è reso sacro nell'arte, mentre sempre di più nella società viene scarnificato e oggettivizzato, uniformato, perfezionato, in modo che si perda tutto ciò che è sbavato, ombroso o forse, semplicemente umano.
Osservavo i corpi di Matisse, così sinuosi e veri, e anche, quando ridotti all'estrema semplicità come nei “Nudi blu”o in Jazz, così terribilmente femminili.





Sono corpi abitati, dove le donne sono padrone dell'ambiente, energia attiva che si mostra, senza ridursi.
Dove anche l'errore dell'artista nel ritrarle è considerato parte integrante dell'opera, perché tutte le donne dovrebbero sfuggire a qualsiasi classificazione rigida che le imprigiona, piuttosto che liberarle.

Buona settimana
virginia

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