martedì 22 novembre 2011

Una carezza in un pugno


Il 25 novembre è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne.
Vogliamo dedicare i post di questa settimana al tema della violenza e delle tante forme nelle quale si può subdolamente declinare.
Comincio con questa riflessione sulla violenza fisica, nata sotto forma di parole a ruota libera sulla tastiera, un po' di tempo fa, proprio partendo dall'osservazione di questa vignetta dei Peanuts. 

Ci sono volte in cui qualcosa di solido, pesante e denso, si raggruma all'altezza dello stomaco, ci rende impossibile il pensiero, fa sentire solo il male, il dolore insopportabile di qualcosa che fa fatica a uscire dalla nebbia del cuore e trovare la strada della gola, per poter essere espresso, urlato, gettato fuori in qualche modo.
Ci sono volte in cui sembra che il corpo sia sciolto dalla mente, reagisca in modo autonomo e indipendente, una lucidità al contrario, dove i gesti sono più veloci dei pensieri.
Si tratta di un corto-circuito delle emozioni, innescato in maniera improvvisa da una frase,un gesto, una presenza,  oppure è la scintilla di una situazione strofinata, giorno dopo giorno, come un fiammifero umido sulla pietra... sembra che non si accenda, e quando meno te lo aspetti, rischi di infuocarti la mano.
Un'atmosfera delicata e rarefatta squarciata da sentimenti taglienti che provano a stare in equilibrio su un filo sospeso.
Il dolore è troppo grave per essere espresso nell'aria, attraverso la lingua che arrotola parole evanescenti...le mani sono strumenti più prossimi e veloci per arrivare a infrangere la superficialità di specchi di colui che ci rimanda un'immagine distorta, pericolosa, terribile, della nostra identità.
Mi hai ferito”: la usa chi colpisce e chi è colpito, grottesca condivisione quando il resto è impossibile da considerare.
Può capitare... è da evitare... senza parole... ho paura... se lo meritava... non succederà più... attenzione a quello che fai... sei un mostro... è stata colpa mia...  quante sono le letture possibili?
Non giustifico, non biasimo, non condanno.
Solamente osservo, lasciando una scia di interrogativi dietro i miei sguardi.
La violenza ha tante maschere, più o meno terrificanti, indossate per un momento o per tutta la vita,  ma, che si nasconda dietro all'immagine di topolino o quella del diavolo, deve farci comunque riflettere.
Dietro ogni gesto che esplode ci sono mille emozioni intricate, che sono impossibili da decifrare, in un tempo che permetta la frustrazione dell'atto.
È capitato a tutti di perdere il controllo.
Si, è vero, può succedere.
Non può succedere però come modalità di reazione ciclica a certi tipi di eventi o situazioni (anche se questi avvengono una volta ogni mille anni!) perché questo ci avverte che abbiamo un problema con quella realtà, persona o vissuto.
Non si può mettere la testa sotto la sabbia, perché sarebbe come lasciare fuoco sotto la cenere.
Il groviglio va sciolto con pazienza, con quelle stesse mani che veloci rispondono all'impulso, rieducandole così al cadenzato ritmo del cuore, all'armonioso respiro che permette l'attesa e può soffiar via le nebbie, consentendo ai pensieri di penetrare in quel denso dolore, scaldandolo, donando nuova vita ai sentimenti.
La nostra consapevolezza può così prendere per mano le emozioni, in un moto ascendente verso le labbra, rendendole trampolino di lancio di coraggiose parole trapeziste, che aspettano di essere prese saldamente da altre labbra, e restituite, in un dialogo che paziente costruisce relazione, mentre tutto intorno, si sta col fiato sospeso, fino agli applausi finali.

virginia

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