Lunedì scorso abbiamo
finito con una frase da “La grande bellezza” di Sorrentino (la
trovi qui).
Oggi cominciamo con un'altra
frase dallo stesso film, nella scena che lascia un attimo col fiato
sospeso, dove la “Santa” all'alba se ne sta in terrazza a
contemplare i fenicotteri che di passaggio si sono soffermati a farle
un saluto...
In quell'occasione,
chiedendo a Jep il perché non abbia più scritto un libro (e la
risposta sarà che cercava “la grande bellezza”) gli rivolge
un'ulteriore domanda:
“Lei
sa perché io mangio solo radici?”
e alla sua espressione interrogativa prosegue affermando “perché
le radici sono importanti...”
Dopo questo incontro, il
film termina con lui che ritorna a Napoli e si riappropria della sua
storia, quella di cui avevamo carpito frammenti fra un party e una
passeggiata all'alba, fra un incontro troppo breve e una riflessione
a voce alta immaginando il mare sul soffitto di camera.
Da qui l'incipit del suo
nuovo romanzo.
Finalmente la sua vita è
ripartita.
Si è disincagliata da
quegli scogli e dagli sguardi di quell'amore mai vissuto.
Le radici sono importanti.
Le radici sono la metafora
delle nostre origini.
Le radici sono la famiglia,
i genitori, i luoghi che ci hanno visti dare alla luce, l'atmosfera
che abbiamo respirato e i sentimenti che abbiamo provato nella nostra
infanzia o nella prima giovinezza.
La Santa mangia le radici.
Avete mai riflettuto sul
processo di cibarsi?
Per mangiare qualcosa è
necessario aggredirlo con i denti, distruggerlo, farne poltiglia che
ulteriormente sarà erosa dai succhi gastrici dello stomaco fino ad
arrivare all'intestino dove ciò che può essere assorbito diventerà
energia vitale e il resto verrà scartato con le feci.
Nella frase della Santa io
ci ho visto proprio questo: un simbolo della metafora terapeutica.
Quando in terapia si
affronta il passato non è né per fare il processo ai genitori né
per trovare colpe e colpevoli con cui prendersela.
Piuttosto si tratta di
riuscire a digerire ciò che è successo per poter uscire dai blocchi
evolutivi e trasformare in nuova energia ciò che è fermo.
Mangiare le radici significa
distruggere qualcosa sotto una determinata forma e assimilarne ciò
che è importante.
Ma che cosa si distrugge?
Viene distrutta l'immagine
idealizzata e distorta dei genitori da parte di quel bambino/a che
siamo stati, che li avrebbe voluti “di più qualcosa”, “di meno
qualcos'altro” o semplicemente “diversi” da quello che erano.
Non importa ipotizzare gravi
carenze o errori irrecuperabili.
Nessuno è perfetto e spesso
non poteva fare altrimenti.
Ma troppo spesso le radici
diventano intricati muri di rovi che impediscono di andare oltre: ed
ecco il sintomo, il disagio, il blocco, la maschera, le difese.
Tutti modi che ci indicano
che qualcosa è rimasto sullo stomaco, che il processo non si è
svolto come avrebbe dovuto.
La parte bambina non ha
potuto digerire certe cose. Era troppo per lei.
Ma rigettare le radici non è
la soluzione. È necessario farle proprie.
Ma chi è invece che oggi
può farlo?
La parte adulta che può
vedere le cose con altri occhi.
L'adulto di oggi può
assimilare il buono e l'importante che è giusto trattenere e invece
eliminare quello che non serve.
Un conto è provare a
mangiare qualcosa di indigesto coi dentini di latte appena abbozzati
e un conto è invece provare a farlo con i denti formati di chi può
aggredire e ridurre, o per lo meno ridimensionare.
Ogni esperienza, quando
opportunamente elaborata, può essere linfa vitale per continuare a
scrivere le pagine del romanzo della nostra vita.
“Dunque,
che questo romanzo abbia inizio”
buona settimana
virginia
4 commenti:
Ci ho messo quasi 7 anni di terapia per capire queste cose , ma non poteva scriverle prima ?
:-) ;-)
Grazie comunque , come sempre !!
spero che non le abbia capite solo leggendo queste parole ma "rivivendo" la sua storia e cogliendone i significati nascosti fra le pieghe della memoria...
Grazie di leggermi!
io invece vorrei capire come affrontare le mie radici e iniziare a masticare la mia storia......da dove cominciare?
La psicoterapia è un percorso di crescita personale fondamentale per prendere contatto - in un'atmosfera protetta e di sostegno - con le pagine della propria storia e cominciare a "riscriverle" con sguardo diverso.
L'esigenza di cominciare una terapia a volte nasce dal presentarsi di sintomi, altre volte dal desiderio impellente di trovare significati nel caos dei ricordi, altre ancora dalla voglia di dare risposte a domande sospese da troppo tempo...
Come le ho suggerito anche nell'altro commento che mi ha lasciato, le lascio un consiglio di lettura
("La sindrome degli antenati" A.A. Schutzenberger) ma sento anche in lei il terreno fertile di domande per cominciare con l'aiuto di uno psicoterapeuta il viaggio dentro se stessa
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