Inutile negare che l'amore
sia l'onnipresente tema citato, negato, rivendicato, sospirato o
addirittura millantato dentro la stanza di terapia.
A volte, però, ho come
l'impressione che l'Amore sia invece il grande assente.
La A maiuscola non è
un errore di battitura.
Perché c'è l'amore
e poi invece c'è l'Amore.
Mi piace pensare che il
secondo ne sia un'evoluzione, quel sentimento permesso dalla
maturità, come se quella “a”, da piccolina fosse
diventata finalmente grande, adulta.
Quando siamo piccoli viviamo
grazie alla mamma e al papà che si occupano di noi in tutto e per
tutto, creando una simbiosi paradisiaca nella quale siamo
semplicemente oggetto d'amore.
I ricordi infantili però
possono non essere sempre rosei.
Così può darsi –
semplificando un po' – che nel resto della propria vita si
ricerchino persone e situazioni che in maniera automatica ricalchino
le relazioni conosciute, che rispecchino il modo in cui siamo stati
amati (o meglio non amati) e così si ingaggino lotte senza fine
nelle quali l'obiettivo sembra essere l'avere a tutti i costi la
persona che fugge, mentre invece non è altro che la mera ripetizione
di un copione, con la vana speranza di modificarne il finale.
In questi casi è la propria
bambina interiore che rincorre un fantasma.
È la piccola “a”
che desidera essere finalmente l'oggetto d'amore, perché è solo
attraverso quegli occhi che diventa qualcuno.
Se lo sguardo dei genitori
non ci ha definito, rassicurato, confermato, tenderemo sempre a
proiettare fuori da noi quello sguardo e chiedere all'altro di farci
esistere.
È come se, una volta che
abbiamo trovato due occhi accoglienti, non potessimo fare senza,
perché fuori da quel cerchio magico, è come se non potessimo essere
importanti.
È il bisogno agonizzante
di avere uno scorcio di occhi dove specchiarsi, urlo straziante del
bambino abbandonato che non si rassegna.
Ecco spiegato come mai è
l'amore a venire in terapia.
Per crescere, per poter
cominciare a trovarsi, a definirsi, a donarsi finalmente un'identità
che gli permetta di dare, da persona matura.
L'identità è la premessa e
il fulcro dello stare con qualcuno.
Altrimenti si rischia di
vivere “per appoggio”.
E, attenzione, si pensa
sempre che sia la persona dipendente a vivere appoggiandosi a
colui/colei di cui ha bisogno, mentre in realtà anche la persona che
domina ha un bisogno indiretto di sentirsi fondamentale per l'altro,
quindi di esistere nello sguardo adorante del partner che rinnega
(inconsciamente per rafforzare il suo desiderio e sentirsi
indispensabile, potente).
È quasi come se entrambi i
partner avessero la stessa ferita originaria, ma vi avessero posto
rimedio in maniere opposte.
Ma si sa, non è auspicabile
fare di mal comune mezzo gaudio...
“La persona matura è
arrivata al punto in cui è madre e padre di se stessa. Ha, per così
dire, una coscienza materna e paterna. La coscienza materna dice:
«Non c'è peccato, né delitto che ti possa privare del mio amore,
del desiderio che tu sia vivo e felice.» La coscienza paterna dice:
«Hai sbagliato, non puoi sfuggire alle conseguenze del tuo errore e
devi cambiare strada, se vuoi che io ti ami.» La persona matura si è
liberata dalle figure esteriori del padre e della madre e li ha
ricreati in se stessa. In contrasto col concetto freudiano del
super-ego, se li è costruiti interiormente non incorporando madre e
padre, ma costruendo una coscienza materna sulle sue capacità
d'amore, ed una coscienza paterna sulla ragione e sul giudizio.
Inoltre, la persona umana ama con entrambe le coscienze, materna e
paterna, ad onta del fatto che esse sembrino contraddirsi l'una con
l'altra.”
“L'amore non è
soltanto una relazione con una particolare persona: è un'attitudine,
un orientamento di carattere che determina i rapporti di una persona
col mondo, non verso un «oggetto» d'amore. Se una persona ama solo
un'altra persona ed è indifferente nei confronti dei suoi simili, il
suo non è amore, ma un attaccamento simbiotico, o un egotismo
portato all'eccesso. Eppure la maggior parte della gente crede che
l'amore sia costituito dall'oggetto, non dalla facoltà d'amare.”
(E. Fromm “L'arte di amare” p. 53-56)
Quindi, l'unica “cura”
per liberarsi dell'incantesimo è quella di conoscere e affrontare
finalmente la vita anche con la parte adulta, che si ama (ne abbiamo parlato qui), che può scegliere di
amare qualcuno ma anche di fare senza, o di volgere il proprio Amore verso
mete più costruttive.
Buona settimana
virginia