lunedì 28 aprile 2014

Terapia dell'amore?




Inutile negare che l'amore sia l'onnipresente tema citato, negato, rivendicato, sospirato o addirittura millantato dentro la stanza di terapia.
A volte, però, ho come l'impressione che l'Amore sia invece il grande assente.
La A maiuscola non è un errore di battitura.
Perché c'è l'amore e poi invece c'è l'Amore.
Mi piace pensare che il secondo ne sia un'evoluzione, quel sentimento permesso dalla maturità, come se quella “a”, da piccolina fosse diventata finalmente grande, adulta.

Quando siamo piccoli viviamo grazie alla mamma e al papà che si occupano di noi in tutto e per tutto, creando una simbiosi paradisiaca nella quale siamo semplicemente oggetto d'amore.
I ricordi infantili però possono non essere sempre rosei.
Così può darsi – semplificando un po' – che nel resto della propria vita si ricerchino persone e situazioni che in maniera automatica ricalchino le relazioni conosciute, che rispecchino il modo in cui siamo stati amati (o meglio non amati) e così si ingaggino lotte senza fine nelle quali l'obiettivo sembra essere l'avere a tutti i costi la persona che fugge, mentre invece non è altro che la mera ripetizione di un copione, con la vana speranza di modificarne il finale.
In questi casi è la propria bambina interiore che rincorre un fantasma.
È la piccola “a” che desidera essere finalmente l'oggetto d'amore, perché è solo attraverso quegli occhi che diventa qualcuno.
Se lo sguardo dei genitori non ci ha definito, rassicurato, confermato, tenderemo sempre a proiettare fuori da noi quello sguardo e chiedere all'altro di farci esistere.
È come se, una volta che abbiamo trovato due occhi accoglienti, non potessimo fare senza, perché fuori da quel cerchio magico, è come se non potessimo essere importanti.
È il bisogno agonizzante di avere uno scorcio di occhi dove specchiarsi, urlo straziante del bambino abbandonato che non si rassegna.
Ecco spiegato come mai è l'amore a venire in terapia.
Per crescere, per poter cominciare a trovarsi, a definirsi, a donarsi finalmente un'identità che gli permetta di dare, da persona matura.
L'identità è la premessa e il fulcro dello stare con qualcuno.
Altrimenti si rischia di vivere “per appoggio”.
E, attenzione, si pensa sempre che sia la persona dipendente a vivere appoggiandosi a colui/colei di cui ha bisogno, mentre in realtà anche la persona che domina ha un bisogno indiretto di sentirsi fondamentale per l'altro, quindi di esistere nello sguardo adorante del partner che rinnega (inconsciamente per rafforzare il suo desiderio e sentirsi indispensabile, potente).
È quasi come se entrambi i partner avessero la stessa ferita originaria, ma vi avessero posto rimedio in maniere opposte.
Ma si sa, non è auspicabile fare di mal comune mezzo gaudio...

La persona matura è arrivata al punto in cui è madre e padre di se stessa. Ha, per così dire, una coscienza materna e paterna. La coscienza materna dice: «Non c'è peccato, né delitto che ti possa privare del mio amore, del desiderio che tu sia vivo e felice.» La coscienza paterna dice: «Hai sbagliato, non puoi sfuggire alle conseguenze del tuo errore e devi cambiare strada, se vuoi che io ti ami.» La persona matura si è liberata dalle figure esteriori del padre e della madre e li ha ricreati in se stessa. In contrasto col concetto freudiano del super-ego, se li è costruiti interiormente non incorporando madre e padre, ma costruendo una coscienza materna sulle sue capacità d'amore, ed una coscienza paterna sulla ragione e sul giudizio. Inoltre, la persona umana ama con entrambe le coscienze, materna e paterna, ad onta del fatto che esse sembrino contraddirsi l'una con l'altra.”

L'amore non è soltanto una relazione con una particolare persona: è un'attitudine, un orientamento di carattere che determina i rapporti di una persona col mondo, non verso un «oggetto» d'amore. Se una persona ama solo un'altra persona ed è indifferente nei confronti dei suoi simili, il suo non è amore, ma un attaccamento simbiotico, o un egotismo portato all'eccesso. Eppure la maggior parte della gente crede che l'amore sia costituito dall'oggetto, non dalla facoltà d'amare.” (E. Fromm “L'arte di amare” p. 53-56)

Quindi, l'unica “cura” per liberarsi dell'incantesimo è quella di conoscere e affrontare finalmente la vita anche con la parte adulta, che si ama (ne abbiamo parlato qui), che può scegliere di amare qualcuno ma anche di fare senza, o di volgere il proprio Amore verso mete più costruttive.

Buona settimana
virginia

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