Ci sono tanti tipi di mamme.
E si può essere madre in modi diversi.
Le donne sono mamme molte
volte, e spesso non solo dei propri figli.
Così, prendendo spunto
dalla foto qui sotto, ho creato questa storia*.
Mi sono svegliata una
prima volta, alle 2:13 e la casa era immersa nel silenzio.
Ormai non ho più il
sonno pesante di una volta, ma mi sembra di essere tornata a
trent'anni fa, quando col timore di non sentire il mio piccolino
appena nato, non riuscivo mai a riposare, anche se lui dormiva.
Anche la stanchezza è la
stessa. Sono stremata.
Vorrei poter sonnecchiare
un po' di giorno, ma sono talmente tante le faccende da fare che
ormai ci ho rinunciato. Ci sono le pulizie appena alzata, poi
preparare la colazione secondo i canoni impartiti dalla signora
Merletti con il contorno di pastiglie multicolori prescritte dal
dott. Colzoni.
C'è la spesa fulminea
della mattina al piccolo supermercato di quartiere, quando posso
approfittare della visita della signora Tempesti per assentarmi col
corpo da quelle mura, ma temendo ogni imprevisto e restando con la
mente dentro casa.
Ieri poi, è stata
giornata di controlli, quindi i tempi si sono tutti dilatati e i miei
pochi punti fermi saltati come bottoni sotto sforzo.
Nonostante tutto, alle
3:24 quando la sua voce baritonale mi ha chiamata, sono balzata sul
letto come una molla, calzate le pantofole e corsa nella sua camera
infondo al corridoio, per vedere cosa fosse successo.
Si era tolto il pannolone
e come capita sempre più di frequente nell'ultimo mese, aveva finito
per innaffiare di giallo paglierino le lenzuola che qualche ora prima
avevo già cambiato, perché vi aveva spalmato la minestra che si era
rifiutato di mangiare in cucina.
Allora gli avevo cambiato
i pantaloni del pigiama, nonostante le sue ritrosie, perché alcuni
antichi vezzi si sono trasformati ormai in odiosi capricci: mai un
completo spaiato per dormire. Per questo ho deciso, d'accordo con la
signora Merletti, di comperare pigiami tutti uguali, e siccome non ce
n'erano abbastanza, ho dovuto ripiegare su sfumature di colore così
lievi che speravo passassero inosservate e invece sono risultate così
evidenti ai suoi occhi di architetto.
Adesso era lì, come
sospeso, con un volto di bambino assopito, mi guardava con occhi
imploranti, bagnato di pipì fino alle caviglie.
Un innocente bambino di
ottantadue anni, il fisico asciutto da ex atleta – che quando si
mette in testa di scappare mi fa ancora penare per riacciuffarlo –
e qualche rotella fuori posto, che il dott. Colzoni definisce
Alzheimer.
In Ucraina quelli come
lui si tengono in famiglia, sono le mogli – ma la sua è mancata
tanti anni fa – o le figlie che se ne occupano, ma la povera
signora Merletti ha così tanto da lavorare nello studio dove ha
preso il posto del padre, che hanno dovuto prendere me ventiquattro
ore su ventiquattro. Fino a qualche mese fa, nel mio giorno libero
era la signora Tempesti che veniva a fare compagnia al signor Mario,
con qualche visita della figlia, se non erano tempi di cantiere.
Io
credo che la povera signora Tempesti avesse voluto un tempo prendere
il posto della moglie di Merletti, ma poi il signor Mario si è
ammalato e così è rimasta questa simpatia, mista a spirito di
volontariato che la cara signora già svolge all'ospedale del paese.
Adesso che l'architetto è peggiorato devo invece chiamare la figlia
di una mia amica, che è giovane, ha appena finito la scuola ma
mentre aspetta un lavoro come si deve, si improvvisa badante per
raggranellare qualche soldo.
La signora Tempesti va
bene per qualche chiacchiera, un sorriso e al massimo provare a
imboccarlo per mangiare, ma poi, per il lavoro “sporco” ci
vogliono quelle come noi.
Non importa se nel nostro
paese ci siamo istruite, se sappiamo fare anche altro. Qui bisogna
fare questo.
Per lo meno il signor
Mario non alza le mani, come il signor Luigi, dove lavora la mia
amica.
Io ne ho già prese tante
dal mio ex marito, lasciato in Ucraina vent'anni fa, sono qui più per
scappare da lui che per cercare un lavoro migliore.
Stanotte, dopo averlo
lavato, mentre gli rimettevo il pannolone e gli intimavo bonariamente
di non toglierlo, l'architetto mi ha risposto “si, mamma”.
Lì una lacrima mi è
scesa, perché insieme a mio marito, ho abbandonato anche mio figlio,
cresciuto troppo in fretta, forse con qualche soldino in più che gli ha permesso di studiare, ma
senza di me.
buona settimana
virginia
ps. se ti va di leggere altre mie storie che partono come spunto da fotografie di finestre le trovi tutte qui
*ogni riferimento a fatto o persona è casuale