Questo
week end, sul treno verso la meta di un corso di formazione, ho
ripescato appunti dall'ultima mostra che sono andata a visitare,
ovvero quella di Tina Modotti a Verona, terminata l'8 marzo.
Se
volete conoscere di più di questa donna, artista e fotografa ma
soprattutto militante politica, trovate qui la biografia.
Tina
è stata ritratta nuda dal famoso fotografo Edward Weston e provocò scandalo negli anni '20,
e poi lei stessa si dedicò alla fotografia immortalando spesso le
donne sudamericane nella loro vita quotidiana, eroine fiere, sia che
si trattasse di madri che di ribelli.
Una
delle foto che ha colpito la mia attenzione è questa
perché
evoca la metafora attraverso cui alcune donne si presentano in
terapia, quando affermano di sentirsi “come un burattino”.
Coloro
che raccontano questa impotenza di agire in maniera autonoma non sono
sempre donne vittime di situazioni violente o dolorose, succubi di un
uomo che decide al posto loro e tiene le fila della loro esistenza.
A
volte sono donne che si descrivono forti e capaci, anche risolute, ma
preda della necessità di doversi comportare in un certo modo, pena
l'insoddisfazione o forti sensi di colpa.
Questo accade perché il "burattinaio" è scaltro e fa leva su aspetti inconsci e molto profondi che necessitano di un lavoro approfondito per essere portati alla coscienza.
Prendendo
ispirazione dalle storie ascoltate cercherò di dare voce alla loro
interiorità attraverso questo monologo da me inventato, sul
significato di questi fili invisibili nella vita di queste donne.
È
difficile ammetterlo. Ho sempre pensato che tu facessi il meglio per
me.
Mi
sono fidata e affidata, io che non sono mai stata brava a decidere in
prima persona, quel giorno sono rimasta abbagliata dalla tua sicurezza, dalle tue
capacità di cavartela in ogni situazione.
È
lì che ho sbagliato.
Non
ho imparato, ma solo adempiuto.
Sono
passati gli anni e mentre all'inizio ero fiera di ciò che creavi per
me – mi rendo conto solo ora che mi hai modellata – nel tempo
qualcos'altro da dentro mi ha impedito di gioirne.
Ero
in trappola perché cominciavo da burattino a diventare una persona
reale, con bisogni desideri e una lieve abbozzata identità che si
ribellava alle tue mani.
Tuo
il copione, tue le battute dei dialoghi, tuoi i personaggi che potevo
o non potevo incontrare nello scenario della vita.
Per
un po' ho taciuto, ho continuato in silenzio a eseguire i tuoi
movimenti, ma più progredivo più mi appesantivo legata ai tuoi
fili.
Più
diventavo pesante da condurre e più ti sei arrabbiato: la tua
bambolina adorabile non rispondeva più diligente ai comandi.
Dalle
allusioni sottili – invisibili ai più come i tuoi fili – siamo
passati a parole di piombo, accuse, recriminazioni – che li
rendevano evidenti catene.
Ma
comunque resistevo. Chi potevo essere senza di te?
Un
giorno ti sei stufato, perché ero troppo triste, troppo pesante,
troppo limitante.
Mi
hai lasciata sola perché hai trovato un altro burattino più facile
da manovrare.
E
quel giorno mi sono afflosciata, accasciata, e credevo davvero di
essere morta.
Poi
lentamente mi sono accorta di non avere più fili.
Ho
cominciato a muovermi, sì impacciata nel mondo, ma per la prima
volta potevo dire di essere “io”.
È
rischioso, avevi ragione. La responsabilità a volte mi assale e ho
paura.
Spesso
sento ancora le tue parole, quelle di un tempo “povera piccola, se
non ci fossi io...” e quelle più recenti “dove vuoi andare senza
di me? Cosa credi di poter fare?” e lì più di tutto stringo i
denti e penso alla possibilità di muovermi sulle mie gambe, incerte
sì, ma vere.
Infondo
mi hai fatto un regalo.
Credevo
di morire e invece sono rinata.
I
tuoi fili giacciono inermi sul pavimento della mia vita passata.
Buona
settimana
virginia
(fonte immagini: Pinterest)
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