lunedì 16 marzo 2015

Mosse da fili invisibili



Questo week end, sul treno verso la meta di un corso di formazione, ho ripescato appunti dall'ultima mostra che sono andata a visitare, ovvero quella di Tina Modotti a Verona, terminata l'8 marzo.
Se volete conoscere di più di questa donna, artista e fotografa ma soprattutto militante politica, trovate qui la biografia.
Tina è stata ritratta nuda dal famoso fotografo Edward Weston e provocò scandalo negli anni '20, e poi lei stessa si dedicò alla fotografia immortalando spesso le donne sudamericane nella loro vita quotidiana, eroine fiere, sia che si trattasse di madri che di ribelli.






Una delle foto che ha colpito la mia attenzione è questa



perché evoca la metafora attraverso cui alcune donne si presentano in terapia, quando affermano di sentirsi “come un burattino”.
Coloro che raccontano questa impotenza di agire in maniera autonoma non sono sempre donne vittime di situazioni violente o dolorose, succubi di un uomo che decide al posto loro e tiene le fila della loro esistenza.
A volte sono donne che si descrivono forti e capaci, anche risolute, ma preda della necessità di doversi comportare in un certo modo, pena l'insoddisfazione o forti sensi di colpa.
Questo accade perché il "burattinaio" è scaltro e fa leva su aspetti inconsci e molto profondi che necessitano di un lavoro approfondito per essere portati alla coscienza.

Prendendo ispirazione dalle storie ascoltate cercherò di dare voce alla loro interiorità attraverso questo monologo da me inventato, sul significato di questi fili invisibili nella vita di queste donne.

È difficile ammetterlo. Ho sempre pensato che tu facessi il meglio per me.
Mi sono fidata e affidata, io che non sono mai stata brava a decidere in prima persona, quel giorno sono rimasta abbagliata dalla tua sicurezza, dalle tue capacità di cavartela in ogni situazione.
È lì che ho sbagliato.
Non ho imparato, ma solo adempiuto.
Sono passati gli anni e mentre all'inizio ero fiera di ciò che creavi per me – mi rendo conto solo ora che mi hai modellata – nel tempo qualcos'altro da dentro mi ha impedito di gioirne.
Ero in trappola perché cominciavo da burattino a diventare una persona reale, con bisogni desideri e una lieve abbozzata identità che si ribellava alle tue mani.
Tuo il copione, tue le battute dei dialoghi, tuoi i personaggi che potevo o non potevo incontrare nello scenario della vita.
Per un po' ho taciuto, ho continuato in silenzio a eseguire i tuoi movimenti, ma più progredivo più mi appesantivo legata ai tuoi fili.
Più diventavo pesante da condurre e più ti sei arrabbiato: la tua bambolina adorabile non rispondeva più diligente ai comandi.
Dalle allusioni sottili – invisibili ai più come i tuoi fili – siamo passati a parole di piombo, accuse, recriminazioni – che li rendevano evidenti catene.
Ma comunque resistevo. Chi potevo essere senza di te?
Un giorno ti sei stufato, perché ero troppo triste, troppo pesante, troppo limitante.
Mi hai lasciata sola perché hai trovato un altro burattino più facile da manovrare.
E quel giorno mi sono afflosciata, accasciata, e credevo davvero di essere morta.
Poi lentamente mi sono accorta di non avere più fili.
Ho cominciato a muovermi, sì impacciata nel mondo, ma per la prima volta potevo dire di essere “io”.
È rischioso, avevi ragione. La responsabilità a volte mi assale e ho paura.
Spesso sento ancora le tue parole, quelle di un tempo “povera piccola, se non ci fossi io...” e quelle più recenti “dove vuoi andare senza di me? Cosa credi di poter fare?” e lì più di tutto stringo i denti e penso alla possibilità di muovermi sulle mie gambe, incerte sì, ma vere.

Infondo mi hai fatto un regalo.
Credevo di morire e invece sono rinata.
I tuoi fili giacciono inermi sul pavimento della mia vita passata.

Buona settimana
virginia 

(fonte immagini: Pinterest) 

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