Ci
sono molti modi per essere fatti l'uno per l'altra: purtroppo quello
di cui parliamo oggi è uno dei più dolorosi e tristemente noti.
Quella
fra il manipolatore affettivo e il partner dipendente è una delle
coppie più difficili da separare, nonostante l'infelicità.
In
altri articoli qui sul blog si è parlato molto del primo tipo –
nelle varie sfumature di personalità ricoperte – dal peter pan
(qui) al narcisista (qui, qui e qui) – ma anche della sua controparte
necessaria affinché la relazione sia perfettamente disfunzionale
(vedi qui , qui e qui).
Oggi
voglio parlarvene affrontando il tema della coppia, ovvero
analizzando la modalità con la quale queste due personalità entrano
in relazione, innescando una spirale di disagio che fatica a
terminare.
Con
il termine manipolatore affettivo, si intende qualsiasi
persona che con il suo comportamento e modo di essere riesce a
estorcere agli altri molte attenzioni, o azioni che spontaneamente
non avrebbero fatto, disponibilità di tempo e a volte anche di
denaro, oppure un investimento esclusivo che elude altre relazioni
significative.
Spesso
si parla del manipolatore al maschile, ma in realtà anche molte
donne rientrano in questa categoria.
Possono
esserci molti modi attraverso i quali questo personaggio – maschio
o femmina che sia – agisce, situandosi lungo un continuum che va
dal mostrarsi molto sicuro, arrogante, indipendente e
(finto-altruista) fino a essere pessimista, bisognoso e richiedente.
Anche
il partner dipendente – contrariamente al senso comune che lo vede
solo come vittima passiva – può dimostrarsi lungo lo stesso
continuum di sicurezza-inermità.
Ovviamente
assisteremo nel corso della storia a un continuo gioco di ruoli
inconscio.
Quando
il manipolatore è onnipotente la partner sarà nella posizione di
sudditanza, quando lui si mostra bisognoso sarà lei a prendere la
situazione sotto controllo per confortarlo (in questo caso non c'è
una vera volontà di potenza) ma comunque avrà indirettamente una
gratificazione della sua indispensabilità.
La
dipendenza in questo modo assume due valenze: da una parte il bisogno
di essere riconosciuti e amati da una persona che viene creduta
forte, sicura, realizzata e “superiore”. Dall'altra il bisogno di
essere considerati dal partner necessari, di avere un ruolo
fondamentale e sentirsi importanti e degni di amore per questo.
In
entrambi i casi, il terrore della perdita dell'altro, si basa sulla
convinzione che “se
non sono come lui/lei vuole
(es. avvenente o senza una vita propria ecc...) o
come lui/lei ha bisogno che io sia
(es. disponibile e rassicurante), alla
fine troverà una persona meglio di me e sarà felice con lei”.
Le
radici di questa convinzione vanno ricercate nei legami di
attaccamento primari, spesso nella relazione con un genitore (o
entrambi) rifiutante o critico – quando si cerca il partner
svalutante – oppure parassita delle energie emotive del figlio –
quando si cerca un partner bisognoso di essere il centro del mondo in
maniera vittimistica.
Questi
genitori hanno lasciato nei figli la certezza di non essere mai
abbastanza, per cui essi si rivolgono continuamente alla ricerca di
uno sguardo di approvazione che faccia loro percepire un minimo di
riconoscimento, che li salvi dalla sensazione di essere sbagliati e
in colpa per qualsiasi cosa.
Il
partner dipendente crede di dimostrare amore verso il manipolatore
rendendosi suo schiavo, (e ottenendo in cambio svalutazione e
umiliazione) invece non fa altro che dimostrare un disperato
dis-amore verso se stesso.
Per
questo è così difficile interrompere queste relazioni: perché
consciamente la persona dipendente non si capacita di come l'altro
possa non accorgersi di quanto fa per lui e di quanto sia degno
d'amore per questo, ma inconsciamente non si sente assolutamente
amabile (da qui i dubbi del tipo “se non fossi così – es.
insistente, gelosa/o, grassa/o – mi amerebbe...”).
Se
il dipendente aspetta che l'altro si accorga del suo valore e
finalmente lo/la ami, può attendere all'infinito. Il ruolo di
subalterno (bisognoso, adorante, supplicante) che egli ricopre è
proprio funzionale alla necessità di sentirsi importante del
manipolatore.
Non
importa che lo faccia seguendo la via del potere diretto
(schiacciando) o indiretto (intrappolando l'altro nel ruolo del
salvatore): si tratta in entrambi i casi di modalità patologiche di
relazionarsi che non tengono conto dei bisogni altrui.
L'unica
via di salvezza dell'individuo dipendente, sta proprio nella
ricostruzione di sé, nell'affrontare le ferite del passato e
finalmente affrancarsi dalla necessità che sia un'altra persona a
definire il suo valore e decidere della sua felicità.
buona settimana
virginia
2 commenti:
Bravissina, hai detto bene!
E se poi la parte dipendente, fa un buon lavoro di ricostruzione del sè, e scopre che era atratta dal fatto che lui l'accettasse e l'amasse nonostante fosse una MERDA?
"Io sono una nullità, carogna come diceva mia madre,incontro lui che dice di amarmi, mi accetta. Lui riuscirà a sopportarmi, non mi lascerà mai,non resterò mai sola. Lui è intelligente, ha visto che nel profondo io sono un essere spregevole, ma mi vuole bene nonostante questo.
Chi vede qualcosa di positivo in me, sicuramente non è capace di vedere la realtà, cieco, o peggio vuol prendermi in giro, non riconoscendo la mia autentica natura."
RICOSTRUZIONE DEL SE'
Ecco, ora che faccio, mi è crollato il mondo addosso.
Non posso lasciarlo, i nostri figli non capirebbero, i nostri amici non capirebbero, i miei genitori non capirebbero.
Cara lettrice, dalle tue parole sento che la situazione è molto complessa e necessita di un paziente lavoro di chiarezza e analisi profonda.
Immagino che ciò che tu riporti fra virgolette sia il tuo pensiero su di te, ma condizionato da tua madre.
Ti suggerisco, prima di fare qualsiasi scelta, di non fermarti al "non capirebbero" (perché mi pare che la tua vera natura sia stata travisata già troppe volte) e di intraprendere un percorso di terapia che possa accompagnarti in questa delicata fase della tua vita. Buona fortuna!
Posta un commento