Lo ammetto. È in assoluto il mio film preferito.
Nonostante le milioni di volte che l'ho visto, lo rivedrei ancora e ancora, un po' come quando da bambina implori che ti raccontino la stessa favola all'infinito.
È geniale e profondo: riesce a scandagliare con grazia certi piccoli dolori ordinari ed esaltare senza rumore le grandezze dell'animo umano.
Un personaggio delicato e sottile, una donna bambina, con alle spalle una storia di bambina troppo adulta, oggi tutta intenta a mettere in ordine le vite altrui, per non pensare alla propria, così emotivamente disordinata.
Il film parla di amicizie strampalate e tenere, storie di tutti i giorni e umili atti di eroismo quotidiano.
È l'incipit di una storia d'amore timida e riservata, iniziata con un corteggiamento senza autore, una caccia al tesoro del cuore, oscillante fra la paura-desiderio di esporsi ed il rischio di essere rifiutata.
Bellissime le scene con la voce del narratore fuori campo che mostra i milioni di frammenti di esistenze che si intrecciano in un attimo, fa sentire la nostra esistenza relativa e allo stesso tempo parte di un tutto.
E su tutto sovrasta la magia di Parigi, lo spazio domestico del Café des deux moulins e di Montmartre visto con gli occhi di chi ci vive, le sue stazioni dei treni e le banchine dei metrò, testimoni di incontri e partenze, il giallo dell'uomo delle fototessere che dona un pizzico di suspence e i viaggi intorno al mondo del nano da giardino.
Amélie rappresenta un archetipo di femminile sconosciuto alla maggior parte del cinema contemporaneo, abitato da eroine con gli attributi, femmes fatales, vittime del destino, rivoluzionarie indefesse, casalinghe disperate...
È una donna semplice e disarmante: questa è la sua bellezza. Disegnata alla maniera un po' naif, riesce a godere dei piaceri più innocenti e si prodiga perché intorno a lei regni l'armonia, riuscendo così bene a interpretare i bisogni altrui.
“Meglio consacrarsi agli altri che a un nano da giardino” afferma quando l'uomo di vetro la pungola con domande fastidiose che la obbligano a porre attenzione anche alla sua di felicità (“ma lei, dei pasticci della sua vita, chi se ne occupa?”).
È il suo modo teneramente ribelle per criticare un modello genitoriale che non dà speranze sulla possibilità del cambiamento, che si priva di libertà perché ancorato a zavorre del passato che si sono cementate su stupide rivendicazioni (il far fare la pace alla defunta moglie con il nano da giardino che lei detestava!); un padre che ancora non la vede, non la ascolta, incapace di condividere con lei alcuna emozione.
E nonostante questo, con dolce tenacia, alla fine riesce a far capire almeno una “lezione” a quell'uomo, rinunciando ad ottenere le attenzioni che non ha mai avuto, semplicemente spronandolo a fare quello che più desidera. Se questo non è amore...
Spesso, quando ci è mancato qualcosa, facciamo agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi, così anche in Amélie, la sua parte di bambina sola e abbandonata a se stessa, proietta all'esterno dei bisogni misconosciuti anche a lei.
Ma si sa, l'amore vero, che dona senza pretendere, può addirittura essere magico: l'incontro con Nino, avviene grazie agli effetti dei gesti affettuosi che ha donato agli altri, perché ad un certo punto, tutto il mondo “cospira” per fare in modo che anche lei si lasci andare, oltre le paure e le reticenze.
L'uomo di vetro insegna anche a noi una profonda lezione: non si può sempre vivere ai margini per paura di rischiare di soffrire, nonostante le delusioni e le ferite del passato, è inevitabile scontrarsi ancora con la vita, perché se ci lasciamo scappare le occasioni di ricambiare profondamente qualcuno che ci ama, solo per il timore di quel che sarà, col tempo sarà il nostro cuore a diventare secco e fragile.
È bello amare e donare felicità agli altri, ma è altrettanto giusto amare noi stesse, con tutta l'anima.
Buona fortuna, piccole Amélie!
virginia
[se non avete visto il film e volete vederlo non guardate il finale qua sotto!]
p.s. meravigliosa anche la colonna sonora di Yann Tiersen
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