lunedì 28 marzo 2011

Chi se ne va che male fa (?)



Quante volte, come Lucy, ci siamo illuse che una parola potesse cambiare tutto?
Quanto è più forte l'ostinazione a vedere il bicchiere mezzo pieno, anche se l'altra metà è inesorabilmente vuota e priva di contenuti? Non sempre l'incrollabile ottimismo e la speranza nel futuro sono qualità: in alcuni casi diventano zavorre che impediscono di vedere cosa c'è appena più sopra del profilo dell'orizzonte entro il quale limitiamo la nostra esistenza.
Recidere un cordone ombelicale che ci lega visceralmente a una persona o situazione è terribilmente difficile, ma il più delle volte risulta necessario. Se al neonato non si recidesse quel cordone, per non procurargli lo shock della separazione da quel mondo interiore materno così rassicurante e conosciuto, gli si impedirebbe di vivere e di porre in essere le nuove funzionalità che gli permetteranno di adattarsi al nuovo ambiente, ricco di stimoli e nuove avventure.
Ogni volta che dobbiamo separarci da qualcosa o qualcuno, in parte è come se si riattivasse inconsciamente quella paura primordiale, quel senso di smarrimento che ci induce a rifugiarsi nel conosciuto mondo che magari ci ferisce, non ci soddisfa, ci impedisce di crescere ed evolverci... perché decidiamo di dedicare la nosta speranza alla possibilità che sia il vecchio a cambiare, invece che dare energia al nuovo che avanza e può portare dinamismo vero e produttivo nelle nostre vite?
Quante piccole o grandi bugie ci raccontiamo piuttosto che accettare la realtà dei fatti?
per ora anche a me la situazione va bene così...” “...a suo modo anche lui/lei mi ama...” “avresti dovuto vederlo ieri, in quelle due ore, era proprio un'altra persona!” “se non fosse per questo, questo e questo, sarebbe la persona che voglio accanto a me...” “poverino/a, ne ha passate tante, infondo non è colpa sua...” “gli ci vuole ancora un po' di tempo per capire...” “non ce la faccio a dirgli di no, è più forte di me...” “si, è vero che mi dice che non mi vuole, però poi quando io ho bisogno a suo modo mi sta vicino...” “beh, dai, continuo ancora un po', magari fra poco incontro un altro/a..” e infine, ciliegina sulla torta, “nessuno è perfetto. Credo non esista la persona che ti va bene in tutto e per tutto”.
Quanto prezioso tempo sprechiamo aspettando qualcosa che già sappiamo non essere possibile?
Queste parole potrebbero sembrare in contrasto con quanto affermato altrove, dove mi avete sentito parlare dell'amore come di qualcosa che va costruito giorno per giorno, senza arrendersi di fronte al primo ostacolo, non rinunciando alla possibilità di risolvere i problemi, dando a sé e all'altro il beneficio di trasformarsi e crescere insieme.
Non sono in contraddizione: qui sto parlando di quelle situazioni in cui ci si cela dietro un velo di falsa inconsapevolezza, per non prendersi la responsabilità di un'azione drastica e necessaria, quando la volontà di costruire un rapporto è unilaterale, magari anche solo perché l'altro in questo momento non vuole affrontare le cose in un certo modo, ma si lascia vivere, delegando il timone del rapporto.
Ad un certo punto, dopo averle provate tutte, occorre chiedersi: quanto di me, della mia vita e delle mie energie sto investendo? E se l'altro non fa altrettanto, allora forse è il momento di calare una scialuppa di salvataggio, prima che il naufragio ci coinvolga in danni ancora maggiori.
Il dolore straziante della separazione sarà comunque inevitabile e da elaborare, con coraggio.
Ma l'alternativa sarebbe un dolore continuo e serpeggiante, che logora dentro, giorno dopo giorno, prosciugando la vitalità e privandoci di forze da investire nel futuro.
I rapporti di questo tipo sono parassiti della nostra anima: tolgono linfa vitale e rischiano di farci perdere i contatti con la nostra strada di autorealizzazione, perché inducono a negare i bisogni fondamentali che ci guidano e la cui soddisfazione ci rende felici.
La breve e illusoria felicità, accesa dalla speranza che le cose cambino, è come la flebile luce dei cerini della piccola fiammiferaia, la cui anima è morta assiderata, perché ha donato e svenduto l'unica risorsa che aveva per crearsi da sola un calore che nutre e riscalda (se ti interessa approfondire questa storia clicca qui).
Le fantasie che rimandano all'immaginario o a un domani che non arriverà mai la realizzazione dei nostri desideri, sono “letali” per la nostra anima e la nostra vita.
È necessario svegliarsi dalla soporifera atmosfera di negazione di sé, riprendere in mano la propria esistenza e le proprie energie, e correre a perdifiato lontano da quel luogo o quella persona che, al di là di tutte le scuse che possiamo raccontarci, ci danneggia soltanto.
Non bisogna arrivare ad odiare per allontanarci. Lo si può fare accettando i limiti dell'altro e riconoscendo che non può essere nostra la responsabilità della sua salvezza: noi siamo responsabili della nostra anima e della nostra felicità.
Quindi, è possibile affermare con dignità e coraggio:  “arrivederci amore, ciao”.
virginia



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