Continuamente leggiamo su giornali e riviste che la posizione della donna italiana sul mercato del lavoro è nettamente diversa come qualità (inferiore!) e quantità (superiore!) al resto dell'Europa.
Capita molto spesso che le donne debbano scegliere fra lavoro e famiglia o magari si adeguino a lavori che permettano di poter gestire al meglio tutto ciò che preme loro, lasciando da parte progetti e desideri... alcune rinunciano, altre si arrendono, altre ancora continuano a credere e raggiungono i loro obiettivi. Qual è la differenza fra loro?
Ritengo che i limiti che incontriamo non derivino e non siano dovuti soltanto all’ambiente esterno, ma soprattutto dalle nostre convinzioni inconsce.
Io penso che i limiti che di cui noi donne siamo portatrici possano essere mentali culturali e sessuali.
Mentali in quanto legate alla convinzione che noi dobbiamo faticare di più per aver meno di un uomo nell’ambito lavorativo
Culturali perché tradizionalmente e geneticamente vediamo la donna che lavora fuori casa come donna che abbandona i figli e la famiglia ed insegue il proprio ego
Sessuali perché per secoli ci è stato insegnato che con il nostro corpo potevamo ottenere favori.
Sono tutte convinzioni di cui è difficile liberarci perché derivano da più livelli, ossia dal nostro DNA familiare, dalla tradizione italiana e dall’inconscio collettivo.
Sotto tutto questo peso ci siamo noi…
Ma solo Noi possiamo liberarcene e far capire chi siamo!
Il cambiamento prima è interno e poi …l’esterno si adegua.
Sono le 23.30. Linda riesce finalmente a posare il suo corpo sul divano, che mai come adesso le era sembrato tanto accogliente. Si guarda intorno: spunta dal lembo di un cuscino vicino a lei un piccolo topolino di peluche, unico testimone residuo di quel campo di battaglia di giochi che era il suo salotto fino a qualche ora fa, prima che lei, come ogni sera, avesse riposto i protagonisti delle scorribande serali del suo bambino, nel loro cestino, vicino la tv. Sullo schermo passano i titoli di coda di un film che Alberto in parte è riuscito a vedere, tenendo un occhio sullo schermo piatto e l'altro a controllare quell'incauto esserino che da un po' di tempo pare che sia attirato solo da attività pericolose e strane, mentre lei nel frattempo sistemava la cucina, stendeva la lavatrice, telefonava a sua madre per accordarsi sugli orari per l'indomani. Adesso è seduta accanto a suo marito, che continua ad avere un occhio sul solito schermo e una mano distrattamente appoggiata sulla sua coscia, come a dire “ben arrivata”. Le piacerebbe continuare a parlare di quella cosa accaduta al lavoro, alla quale è riuscita a dare un incipit appena seduti a tavola per cena, ma subito interrotta da altri bisogni di pappa e lacrime cui pensare e dare appagamento. Adesso è troppo stanca per parlare: “chissà, magari domani tutto si risolverà da sé..” e poi “forse a lui non interessa, altrimenti mi chiederebbe ancora...” “o forse è stufo, dopo una lunga giornata di ascoltare anche i miei problemi”, “si però io ascolto sempre i suoi”... è così pensieri si accavallano uno sopra l'altro, intasano la mente come stasera le auto sul viale di ritorno a casa.
Ci sono dei momenti in cui Linda vorrebbe avere la bacchetta magica e riuscire a risolvere situazioni complicate in un solo gesto. Alberto tace ancora e adesso altalena la sua attenzione fra un programma della seconda serata e l'inizio di un nuovo film.
In questi momenti spesso a Linda capita di pensare a qualche anno fa. A quando non vivevano insieme e i fuochi d'artificio scoppiavano ogniqualvolta i loro occhi si incontravano, se pure dopo giornate come queste, di lavoro, stress, problemi... giornate interminabili che acquistavano senso solo se alla sera c'era lui.
Chissà se anche suo marito ci pensa qualche volta.
“Vado a letto”, dice lui e il calore della sua mano abbandona quel lembo di pelle che già richiedeva di più.
“Alberto, tu mi ami?”
E un espressione interrogativa e stuporosa appare sulla faccia di lui.
“Ma certo che ti amo" - uno sbadiglio - "dai, vieni a dormire” e una coperta di notte e stelle fa terminare così la loro giornata. Una come tante altre. **
“Il frutto di tutti i buoni matrimoni è l'amore duraturo” recita il Kama Sutra, citato da Ian White per introdurre l'essenza di un fiore del repertorio australiano che serve a rinnovare la passione e l'interesse all'interno di una relazione.
Linda e Alberto si amano, ma la loro routine è complice del tempo che passa, degli impegni, degli interessi che cambiano e prendono il sopravvento su altri, cosicché può essere che la percezione di “lontananza” cominci a far capolino nella coppia. Non è sempre per disinteresse che le cose cambiano: possono esserci situazioni come questa, dove l'altro è considerato un punto fermo, insostituibile ma dove si danno molte cose per scontate, cosicché il rapporto non è nutrito alla base con un dialogo avido di sapere e conoscere come nei primi tempi.
Bush Gardenia aiuta proprio in questo processo perché “è come se l'essenza portasse gli individui a guardarsi in faccia, a vedere cosa sta facendo e cosa sta provando il proprio partner, nonché a capire cosa serve per riavvicinarsi”, stimolando la consapevolezza e il miglioramento della comunicazione.
Questo rimedio può essere usato quando uno dei due coniugi è troppo preso dalla propria vita rischiando così di minare l'equilibrio familiare, ma anche per un riavvicinamento più intimo nella sfera sessuale, perché porta alla manifestazione e all'ascolto di nuovi bisogni dell'altro. Si assume la miscela entrambi, per un effetto potenziato e armonico.
Oltre a questo meraviglioso fiore, non scordiamoci mai che nulla è benefico all'interno di un legame, come il dialogo, quindi non accontentiamoci come Linda di fare supposizioni su ciò che Alberto pensa o meno, privandoci di manifestare una nostra necessità, e allo stesso tempo sentiamoci libere di esprimere dubbi, incertezze, paure...
Una mia amica mi raccontava che sua mamma le aveva sempre detto che lei e suo papà non andavano mai a dormire se prima non avevano risolto un bisticcio o chiarito una situazione: “non si dorme finché non ci si può dire buonanotte con un bacio”.
Mi sembra un'ottimo “elisir di lunga vita”...di coppia.
Buona settimana a tutte. virginia
ps. se provate il fiore (7gocce al mattino e 7 alla sera), fatemi sapere come va...
** i nomi e le vicende narrate sono di pura fantasia
Colgo l'occasione di questo post per parlare dell'autostima – un' ulteriore caratteristica della persona resiliente (se hai perso i post precedenti al riguardo li trovi qui) – e allo stesso tempo riprendere il filo della narrazione delle nutrienti favole del libro “Donne che corrono coi lupi” (vedi i post a partire da qui e la storia originale qui).
Come già vi avevo accennato mesi fa, in “Autostima e dintorni...” (quando questo blog era appena nato!) parlare di questo argomento mi faceva pensare alla favola del Brutto Anatroccolo, ed ecco che oggi, dopo mille intrecci di parole e argomenti raccontati, questa storia torna a blandire le nostre anime, desiderosa di ricordarci “di non perder tempo rimuginando su quanto non ci hanno dato (o riconosciuto – nda) e di dedicarne di più alla ricerca delle persone a cui apparteniamo” (P. Estes, pag. 168)
Nella rielaborazione della storia, scopriamo che in realtà il piccolo anatroccolo non è brutto, ma semplicemente diverso dagli altri.
Ogni bambina che si è sentita diversa, non accettata perché portatrice di desideri e comportamenti lontani da quelli della famiglia di origine, ha vissuto la stessa ferita dell'anatroccolo. Le è stato detto che era necessario conformarsi alla cultura, alla realtà, alle regole di quel ristretto mondo dove “si fa così perché lo si è sempre fatto”, dove occorre uniformarsi per essere accettati, piegarsi per non essere rifiutati, rinnegare se stessi per cercare di essere amati...
Come può nascere la stima di sé in questa situazione?
Ogni bambino nasce con un suo temperamento, caratteristiche proprie uniche e irripetibili, che ne fanno un essere raggiante e speciale. Anche l'anatroccolo era tale, ma giorno dopo giorno è stato obbligato a venir meno al suo essere perché tutto intorno gli rimandava un'immagine di inadeguatezza, diversità e giudizio.
Non sono necessari gravi deprivazioni o traumi per far venir meno l'autostima: a volte basta uno sguardo di riprovazione, una parola di biasimo, un non detto quando era necessario esser difesi e protetti...
Ecco perché è così importante riconoscere tutti i nostri diversi aspetti, da quelli che ci piacciono di più a quelli che non ci piacciono proprio, perché noi siamo il risultato degli uni e degli altri.
Ogniqualvolta ci giudichiamo, ci condanniamo, ci diciamo che non siamo adeguate o non abbiamo fatto abbastanza, fermiamoci.
Un minuto. Un respiro.
Domandiamoci chi è che davvero ci sta giudicando, condannando e boicottando? Siamo davvero noi, o è una parte infantile, ancora legata all'approvazione di qualche persona del passato?
Occorre essere consapevoli di tutto ciò, perché solo in questo modo sarete libere di andare in giro per il mondo a testa alta, di spiccare il volo e poter godere a pieno della vicinanza delle persone che vi amano per quello che siete, e non per quello che vorrebbero che voi foste.
Che queste parole siano di conforto all'anatroccolo che custodite in voi e da sprone al meraviglioso cigno che siete.
Ascoltando la radio oggi ho sentito la canzone di Jovanotti “Mi fido di te”. E ho pensato: in una relazione tra due persone siano esse legate da un rapporto affettivo o di amicizia deve esserci la fiducia nell'altro. Credo che la fiducia sia la chiave d'accesso all'intimità, cioè a quel legame d’affetto fatto di attenzioni reciproche, di responsabilità, di comunicazione aperta dei sentimenti e delle sensazioni. Ma non è facile aprire il proprio cuore all'altro perchè ciò significa diventare vulnerabili, poter essere feriti nella misura in cui non ci si sente capiti, ascoltati, sufficientemente importanti. Ecco perchè dico che intimità e fiducia vanno a braccetto. Se non mi fido di te, non ti permetto di conoscermi fino in fondo! La paura dell'incontro con l'altro deve essere affrontata se si vuole creare un legame significativo e profondo con l'altro. In che modo? Attraverso il dialogo, a parer mio.
Comunicando con l'altro in maniera intima possiamo condividere le nostre idee, desideri, e credenze e presto ci renderemo conto che anche l'altra persona sarà indotta a mostrare se stessa. E da questo scambio ciascuno dei due ne uscirà arricchito e anche la relazione avrà fatto qualche passo in avanti.
E che bello poter pensare, a mano a mano che camminiamo insieme, che ciascuno dei due è più maturo, è cresciuto, è un po' migliore, proprio grazie alle scoperte di sé fatte nell'incontro con l'altro.
le sofferenze, i dolori, i traumi, le iniezioni di
fiducia, le perdite, le conquiste, le gioie,
il luogo in cui siamo diretti è la terra della psiche
abitata dagli avi,
il posto dove gli esseri umani rimangono
pericolosi e divini,
dove gli animali danzano ancora,
dove quel che è abbattuto ricresce,
dove i rami degli alberi più vecchi
fioriscono più a lungo.
La donna nascosta
che custodisce la scintilla d'oro
conosce quel posto.
Lei sa
TU ANCHE.
Clarissa Pinkola Estes “ La danza delle grandi madri”
In quel posto dove non esiste passato, presente, futuro,ma solo ciò che è . ID EST .
Attilio Piazza , mio grande maestro, lo definisce lo spazio della consapevolezza, ossia quello spazio dentro di Noi in cui tutto accade e si riflette poi nel mondo esterno, dove sappiamo tutto e attingiamo alle informazioni del campo morfo-genetico
E voi mi chiederete ma come si fa?
Beh, ragazze, ci vuole un po' di allenamento e un po' di allineamento.
Nel senso che occorre innanzi tutto il silenzio della mente conscia, dei pensieri e non lo si ottiene così, ma con la meditazione . Bastano dieci minuti alla mattina o alla sera riservati a noi , in un angolo tutto nostro e semplicemente ascoltare il respiro , il nostro respiro.
E poi ci vuole l'allineamento ossia il collegamento con la parte più vera di noi, che è l'Amore incondizionato, Dio comunque lo intendiate, l'Intelligenza Cosmica, la Sapienza degli Avi , i Mondi Sciamanici...
E qui, proprio qui Voi porrete delle domande e Vi giungeranno delle risposte.
E' uno spazio di ascolto dove le risposte vi vengono fornite . E' la famosa mente altra che Einstein invoca per risolvere i problemi.
E... lasciatevi stupire!
Tanti sono i modi per definire questo spazio...
Buon viaggio verso la Verità, la Vostra Verità! E quindi verso la Scintilla d'oro.
Con amore
Evi
P.S. Continuo la mia ricerca sul dolore alla mia spalla destra, che mi fa sempre più male. E' interessante questa domanda per me “ Cosa non prendi ? Cosa congeli o blocchi?”
Le risposte mi stanno venendo e quindi assisto al movimento del mio corpo che segue quello della mia psiche …
Mi sto anche divertendo a dire il vero in quanto ogni volta che mi giunge una risposta il dolore si placa per un giorno o due, ma poi riprende più forte di prima . Mi sento un investigatore che sta, raccogliendo indizi sulla scena di un crimine! CSI Evi!
Che mistero è la VITA, che Mistero Sei Tu . Io Ti avevo definita ed invece Sei di molto di più, sei Creativa, così VIVA... cantava il compianto Lucio Battisti
Questa bellissima poesia riportata da Clarissa Pinkola Estes invita tutte noi a prendere contatto con la donna nascosta che è in Noi, con la Grande Madre o se vogliamo con la nostra Anima o Psiche, la parte più vera di Noi , quella che custodisce la scintilla divina .
In me la morte fa uno strano effetto , mi espande alla vita. Mi dà un brivido che si diffonde nel corpo, una sferzata lungo la schiena e mi ricorda che sono viva.
E anche oggi alla notizia della morte di colui che per me era un “ Grande”, un mito, il mio corpo ha tremato e ho pianto.
Era un pianto di dolore e un pianto di ringraziamento. Per quello che grazie al suo corpo umano Steve ha fatto per noi, perchè era un visionario, un Think Different...
E la stessa reazione l'ho avuta quando il 21.06.2011 è morto il Dott. Leopoldo Mancaniello, un altro visionario che aveva fondato una cosa strana chiamata Medicina e Consapevoleza Sistemica. Il Dott. Mancaniello, un ginecologo, che dopo aver parlato con Te un'ora ti diceva “E' d'accordo se le faccio il pap-test? Devo farglielo anche se non ne ha bisogno, ne sono certo” Un altro think different. Nelle nostre lunghe chiaccherate - visite formalmente - parlavamo spesso della Morte, un argomento che Lui mi definiva “affine”. E così sorrideva quando gli raccontavo che dopo un anno che meditavo in un posto che mi piaceva proprio tanto, avevo scoperto che lì era morto un ragazzo in bici, in quanto vi era un ex voto. O quando gli dicevo che la morte è solo un passaggio perchè tutto alla fine è solo una trasformazione di energia. E sorrideva sempre alla mia “innata percezione del trauma da Morte” che si rileva nella conduzione delle costellazioni.
E la stessa reazione l'ho avuta quandi il 11.01.2007 è mancato il corpo di mio padre. Un brivido e un lungo pianto. Un altro strano umano mio padre, un altro think different, che a sette anni moriva di fame in un Veneto rurale e desolato e a venti aveva costruito un condominio grazie ad un prestito in banca spropositato e all'incoraggiamento di una vecchia e nobile contessa che aveva voluto dare a Lui povero, affamato e folle quel terreno tanto ambito da altri . Mio padre che mi diceva “ Figlia abbi solo cento lire in tasca ma che tu te li sia guadagnati e mai rubati o truffati”. Mio padre che amava la caccia, il vino, gli amici, il cibo, le donne e la sua famiglia . Mio padre bello che rideva e gioiva, mio padre mostruoso sfigurato da un cancro in bocca , senza la parte inferiore del volto, mio padre che non poteva mangiare né ridere ma che mi parlava e sorrideva con gli occhi, mio padre che per sette anni ha lottato e vinto il cancro, mio padre che un mese prima di morire mi ha scritto “ Volpe, sono stanco, me ne vado” e se ne è andato .Mio padre , affamato di Vita e di Morte, povero e ricco, bianco e nero, bello e brutto, vivo e morto.
Tre uomini importanti per me , tre Morti, tre Vivi.Infatti io Li sento,sento la loro energia , sento la loro vita scorrere in me, nonostante la loro morte e non posso che commuovermi nel senso letterale del termine nel senso di muovermi con loro perchè è grazie a loro che io sono. Sì, mi muovo con loro, con le loro idee folli, con il loro modo di essere, grazie a loro ho la possibilità di portare avanti le loro visioni utopistiche. La loro morte fisica diventa un'occasione per vivere con loro, per continuare con loro, per evolvere i loro principi , i loro valori , le loro follie...
E allora mi commuovo , piango e mi muovo in questo continuo moto perpetuo di traformazione universale. Perchè la vita e la morte sono solo stati in cui si trova la nostra anima in perenne movimento E quindi Steve, Leopoldo, mio padre sono solo in un altro stato ed è mio compito onorare la loro Vita in questo livello in cui ora io sono e loro sono stati portando avanti il loro viaggio.
questa settimana ho avuto modo di capire di aver deluso delle persone a me care, delle grandi amiche. E tra queste vorrei includere anche voi che attraverso il blog siete in contatto con noi.
E siccome questo è un fatto a cui continuo a pensare e che che mi brucia, ho pensato di condividerlo perchè sono convinta che mi abbia pemesso di imparare una grande cosa: la persona che ti fa notare un tuo sbaglio o un tuo “non esserci stata” è una vera amica, una persona che ci tiene a te, che ti ha a cuore, che tenta di dirti le cose per vedere se riesce a spronarti, a riattivarti.
Lì per lì ti ferisce ma poi tocca a te decidere cosa fare: o ti lasci travolgere dalla rabbia per le cose che ti ha detto, per il modo con cui te le ha comunicate, e continui ad autocommiserarti, o ti rimbocchi le maniche e reagisci. E nel riattivarti esprimi tutta la riconoscenza per lei, per averti dimostrato che tiene a te e per aver creduto che insieme si può ancora fare un altro pezzo di strada.
-Che non importa quanto sia buona una persona, ogni tanto ti ferirà.
E per questo, bisognerà che tu la perdoni.
-Che ci vogliono anni per costruire la fiducia e solo pochi secondi per
distruggerla.
-Che non dobbiamo cambiare amici, se comprendiamo che gli amici cambiano.
-Che le circostanze e l'ambiente hanno influenza su di noi, ma noi siamo
responsabili di noi stessi.
-Che, o sarai tu a controllare i tuoi atti,o essi controlleranno te.
-Ho imparato che gli eroi sono persone che hanno fatto ciò che era
necessario fare, affrontandone le conseguenze.
-Che la pazienza richiede molta pratica.
-Che ci sono persone che ci amano, ma che semplicemente non sanno come
dimostrarlo.
-Che a volte, la persona che tu pensi ti sferrerà il colpo mortale quando
cadrai,è invece una di quelle poche che ti aiuteranno a rialzarti.
-Che solo perché qualcuno non ti ama come tu vorresti, non significa che
non ti ami con tutto se stesso.
-Che non si deve mai dire a un bambino che i sogni sono
sciocchezze:sarebbe una tragedia se lo credesse.
-Che non sempre è sufficiente essere perdonato da qualcuno. Nella maggior
parte dei casi sei tu a dover perdonare te stesso.
-Che non importa in quanti pezzi il tuo cuore si è spezzato; il mondo non
si ferma, aspettando che tu lo ripari.
-Forse Dio vuole che incontriamo un po' di gente sbagliata prima di
incontrare quella giusta, così quando finalmente la incontriamo, sapremo
come essere riconoscenti per quel regalo.
-Quando la porta della felicità si chiude, un'altra si apre, ma tante
volte guardiamo così a lungo a quella chiusa, che non vediamo quella che è
stata aperta per noi.
-La miglior specie d'amico è quel tipo con cui puoi stare seduto in un
portico e camminarci insieme, senza dire una parola, e quando vai via senti
che è come se fosse stata la miglior conversazione mai avuta.
-È vero che non conosciamo ciò che abbiamo prima di perderlo, ma è anche
vero che non sappiamo ciò che ci è mancato prima che arrivi.
-Ci vuole solo un minuto per offendere qualcuno, un'ora per piacergli, e un
giorno per amarlo, ma ci vuole una vita per dimenticarlo.
-Non cercare le apparenze, possono ingannare.
-Non cercare la salute, anche quella può affievolirsi.
-Cerca qualcuno che ti faccia sorridere perché ci vuole solo un sorriso
per far sembrare brillante una giornataccia.
-Trova quello che fa sorridere il tuo cuore.
-Ci sono momenti nella vita in cui qualcuno ti manca così tanto che vorresti proprio tirarlo fuori dai tuoi sogni per abbracciarlo davvero!
-Sogna ciò che ti va; vai dove vuoi; sii ciò che vuoi essere, perché hai
solo una vita e una possibilità di fare le cose che vuoi fare.
-Puoi avere abbastanza felicità da renderti dolce, difficoltà a
sufficienza da renderti forte, dolore abbastanza da renderti umano,
speranza sufficiente a renderti felice.
-Mettiti sempre nei panni degli altri. Se ti senti stretto, probabilmente
anche loro si sentono così.
-Le più felici delle persone, non necessariamente hanno il meglio di ogni
cosa; soltanto traggono il meglio da ogni cosa che capita sul loro cammino.
-L'amore comincia con un sorriso, cresce con un bacio e finisce con un the.
Oggi ospitiamo le parole di dott.ssa Baldin dello Sportello di Mediazione familiare gratuita della Provincia di Vicenza, che ci parlerà del genogramma:
“Ognuno di noi ha una storia del proprio vissuto, un racconto interiore, la cui continuità ed il cui senso è la nostra vita" affermava Oliver Sacks da "L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello” e con questa frase si potrebbe magistralmente descrivere il genogramma familiare il principale strumento utilizzato dal mediatore negli incontri con le coppie.
Il genogramma è una sorta di albero genealogico che rileva le informazioni sui membri della famiglia, la sua struttura e le sue relazioni. I protagonisti durante gli incontri, narrando il loro passato, rivivono alcuni momenti importanti, che sono stati fondamentali per la loro crescita sia come individui che come nucleo famigliare.
Il quadro che ne emerge risulta utile e fondamentale per la comprensione della situazione presente e altresi per la costruzione di una riorganizzazione.
Come afferma il prof. Canevaro “ogni singolo individuo porta con sé il suo zaino contenente il proprio vissuto ... e nel momento in cui forma una coppia, i vissuti si fondono per formare un unico zaino”.
L'attualità del genogramma deriva dal fatto che vicende che abbracciano più generazioni sono viste in una prospettiva che fa riferimento al presente, cioè al significato che possono avere nel "qui ed ora", attraverso i sentimenti, i pensieri, i comportamenti degli individui appartenenti a quel sistema familiare.
E' interessante sottolineare che la struttura familiare che appare dal genogramma non rispecchia solo i ruoli istituzionali dei membri della famiglia (concetto dell’appartenenza attraverso i vincoli di sangue) ma può includere quelle persone che hanno rivestito nel ciclo vitale della famiglia un’importanza affettiva e funzionale (ad esempio un amico, può rivestire un ruolo fraterno, una nonna un ruolo materno, ecc.);
Le informazioni raccolte tramite l'utilizzo di questo strumento servono ad una lettura in termini relazionali trovando nei dati somiglianze e differenze tra le generazioni, alla luce di particolari coincidenze.
Il genogramma rappresenta, dunque, uno strumento che viene utilizzato con duplice finalità: dalla parte dell’operatore, per raccogliere informazioni e meglio comprendere la particolarità della famiglia, dalla parte dell’utente, per permettere una riflessione e revisione sulla propria storia familiare.
Metropolitana di Madrid. Sono seduta su una panchina in attesa del prossimo treno che arriverà a minuti, seduta vicino a me una signora, che all'improvviso si volta, mi fa un sorriso e mi porge una sottile rivista intitolata “Familia Unida” chiedendomi se mi va di leggere qualche articolo di questo gruppo religioso... un po' scettica ringrazio e le dico, in italiano, che non parlo né leggo in spagnolo, ma lei non desiste e tranquillamente mi dice che in realtà se voglio posso capire, che infondo le due lingue sono molto simili (fra me penso che ha ragione lei, perché fino ad adesso ha parlato nella sua e io ho capito quasi tutto...) così la ringrazio e comincio a sfogliare quelle pagine.
Subito mi cade l'occhio sulla seconda pagina, che tratta di “Psicologìa” (curioso, no?!) con un titolo che cattura subito la mia attenzione:¿Eres Wendy?
In queste righe si parla della cosiddetta Sindrome di Wendy, la bambina che Peter Pan riesce a portare nell'Isola che non c'è, per cercare di sottrarla all'inevitabile processo di crescita che prima o poi tutti i bambini intraprendono... tutti tranne uno, Peter Pan appunto.
Non conoscevo l'esistenza di questa “sindrome”, certamente meno conosciuta rispetto alla più inflazionata nata dal personaggio maschile del romanzo di James Matthew Barrie.
L'autrice dell'articolo (che con caparbietà son riuscita a decifrare), individuava fra gli aspetti di questo insieme di comportamenti tipici – che, afferma, colpisce più donne che uomini – la tendenza ad essere eccessivamente protettivi e soddisfare il prossimo, perché realizzare i bisogni altrui fa parte della loro più alta soddisfazione. Il risultato è di essere dipendenti dalle vite altrui, perché si sentono responsabili del benessere di chi gli sta vicino, ma soprattutto tutto ciò nasconde la necessità di essere indispensabili, riconosciuti e accettati per quel che si fa e non per ciò che si è. Questa attitudine al maternage si esplica poi a 360°, perché la persona che ne è colpita, tende a riproporla in tutte le relazioni significative: amicizie, rapporti di coppia, lavoro, ma anche genitorialità protratta all'estremo, che impedisce ai figli di essere autonomi anche se hanno quarant'anni!
Così mi è venuto in mente la scena del film Disney, dove la piccola donnina Wendy, nel vedere per la prima volta Peter Pan, esclama: “ho tenuto in serbo la tua ombra, spero non si sia sgualcita” e poi “non puoi attaccarla col sapone, va cucita, lo faccio io, è un lavoro da donna...” accingendosi ad eseguire il compito in maniera impeccabile.
Mi ha fatto anche pensare a tutte quelle donne di cui ho ascoltato le storie, che hanno trascorso le loro vite a cercare di convincere i loro mariti/compagni/fidanzati – Peter Pan, che era l'ora di crescere, accanite sostenitrici della responsabilità, del senso di realtà e di quello del dovere.
Inutile dire che spesso è risultata una battaglia persa...e che alcune hanno poi deciso di affrontare la vita adulta da sole, prendendosi la responsabilità della propria esistenza, invece che quella dell'eterno bambino che le aveva accompagnate per una parte del viaggio.
“Da domani dovrò crescere... “ dice Wendy e Peter risponde: “vuol dire che non racconterai più fiabe?” incontrando la sua espressione scoraggiata.
Quali sono le fiabe che Peter ama ascoltare? Quelle dove lui è il protagonista.
Questo ci dice molto del bisogno dell'uomo-bambino. Essere il protagonista assoluto della scena, magari all'interno di un'immagine idilliaca dove tutti i problemi sono annullati e la sua autostima non è minata da pericoli.
Se c'è Wendy a far da madre, il partner può comportarsi da figlio, farsi raccontare storie e indurre comportamenti di accudimento e protezione, senza bisogno di crescere.
Barrie però, la cui versione originaria del romanzo portava il nome di “Peter e Wendy” quasi a identificare nei due personaggi i tratti tipici, ci dice anche che:
“tutti i bambini, tranne uno, crescono. Vengono presto a sapere che cresceranno, e il modo in cui Wendy lo seppe fu il seguente. Un giorno all'età di due anni, mentre stava giocando in giardino, raccolse un fiore e corse da sua madre. Immagino che avesse un aspetto incantevole, poiché la signora Darling si portò una mano al cuore e gridò: “Oh, potessi rimanere così per sempre!”. Nessuno tornò più sull'argomento ma da quel giorno Wendy seppe che doveva crescere. Si viene a sapere sempre tutto, dopo aver raggiunto i due anni. I due anni sono l'inizio della fine.” (Da "Peter e Wendy" pag.1)
In questo incipit di romanzo, Barrie ci dice una grande verità sulle donne che si comportano come Wendy: sono state bambine cresciute troppo in fretta, alle quali sono state deferite responsabilità non loro e che magari – proprio come la piccola protagonista – hanno vissuto la loro infanzia nell'attesa di quell'affetto mai ricevuto a pieno, perché rimasto sulla bocca “dolce e beffarda” della madre “che portava su di sé un bacio che Wendy non riuscì mai ad afferrare, benché fosse lì, perfettamente visibile sull'angolo destro”.
Può essere quindi plausibile che successivamente si dedichino ai bisogni altrui, proiettando all'esterno ciò che a loro è mancato profondamente.
Rimanere bambine, per loro significa rimanere nella mancanza e nella responsabilità di cose più grandi di loro, quando invece l'esser bambino è sinonimo di libertà, affidamento a qualcuno che si occupa di te, appagamento di bisogni.
Da adulte, sembrano rifiutare la loro parte bisognosa e ripropongono ciò che in realtà hanno sempre fatto: prendersi cura di qualcuno che è incapace di farlo, ma allo stesso tempo cercare di convincerlo a crescere, per non avere tutto il carico sulle proprie spalle.
Il processo di crescita vera, l'affrancamento da questa “Sindrome”, comincia quando la donna-bambina impara in primo luogo a prendersi cura di se stessa, accettando che ciascuno ha la responsabilità della propria vita, elaborando il dolore per ciò che è mancato e abbandonando Peter Pan sulla sua isola, scegliendo volontariamente (e non più suo malgrado) di crescere, andare avanti e occuparsi con amore dei suoi bambini, raccontando loro storie e permettendogli di vivere pienamente e serenamente la loro infanzia, per poi renderli autonomi e indipendenti al momento opportuno.
Ringrazio la sincronicità dell'incontro con la signora della metropolitana, che mi ha permesso di scoprire una cosa nuova e riflettere su un tema così intenso.