martedì 30 settembre 2014

I sogni delle donne




sono creature che hanno in sé qualche cosa del fantasma e del fiore […] e non si sa rendere l'incanto particolare degli occhi, in cui la pupilla vive di vita soprannaturale e guarda come da un sogno”
(Guido Menasci)


Questo week end sono andata a visitare la mostra di Vittorio Corcos a Padova, dal titolo “I sogni della belle époque” (trovi qui tutte le info).

Nelle spiegazioni che adornano le pareti, ho trovato una dicitura che raccoglie in due parole l' eterogeneità dell'opera dell'artista, descritto come rappresentante dell'eterno feminino.
Corcos riusciva a fermare sulla tela il “carattere” delle modelle e delle signore dell'alta borghesia o nobiltà che ritraeva.
Sono state immortalate dal suo pennello regine, nobildonne, ma anche giovanissime madri o istitutrici a passeggio, impuberi bambine e ragazzine acerbe... ciascuna con la propria energia caratteristica, tipi di femminile che danno conto delle infinite sfumature dell'essere donna.

Il suo quadro più famoso è “Sogno” (1896), che scandalizzò il pubblico per la posa ritenuta sconveniente e per quello sguardo che sogna, appunto “ciò di cui non dovrebbero sognare le ragazze”, secondo le parole della contessa Puliga, corrispondente del Journal des Débats.



Non ho potuto fare a meno di pensare che si tratta di donne che appartengono al periodo in cui è nata la psicanalisi, quella generazione che si ammalava di “isteria”, che convertiva in sintomi organici un malessere psichico dovuto a un'epoca rigida e austera, all'educazione che soffocava i loro spiriti curiosi di vita, come i bustini stringevano i loro fianchi.
Osservando l'energia sprigionata da questi ritratti mi sono immaginata le storie delle protagoniste, i loro temperamenti, le relazioni che intrattenevano... così, girando per le sale, ho notato che i volti potevano essere raggruppati in tre tipologie ben distinte:
le eteree fanciulle, il cui sguardo è sempre posato altrove, mento sfuggente come attratto da qualcosa di improvviso che cattura l'attenzione, timide e infantili;




le ammaliatrici, sguardo dritto, profondo, sensuale, dominante e sfidante



e infine le sognatrici, dallo sguardo soave e svagato, che ti guardano ma sembrano andare oltre a te, verso un orizzonte lontano e inaccessibile, presenti e assenti in un tempo solo.
Queste ultime spesso accompagnate dai libri, posati vicini, simbolo di una libertà almeno interiore.




Ho provato a immaginare che tipi di uomini potessero esserci al loro fianco, chissà se quel carattere che traspare così evidente dalla tela abbia mai potuto essere vissuto anche nella vita reale.
Così mi sono immaginata tre monologhi.


Non guardarmi, anche se mi sono messa questo grande cappello e il nastro rosa che sottolinea il decolleté. Mia madre mi dice che ormai sono una donna da marito e devo essere elegante, ma io mi sento ridicola, agghindata come un fagiano sul piatto di portata prima di essere sbranato da fauci affamate dopo la battuta di caccia.
Promettimi che non mi farai del male.
Mi hanno promessa.
Non ti conosco ma so già il mio destino.
Non mi resta che uccidere il mio romanticismo.
Vuoi farlo tu, mio caro?




Con questo ritratto sarò importante.
La mamma lo metterà nella sala grande, vicino al suo.
E finalmente tutti smetteranno di ammirare lei e si concentreranno su di me.
In realtà li vedo già i loro sguardi sognanti che furtivi indugiano fra le pieghe dei miei abiti.
E non importa che mi abbiano messo in braccio il cagnolino.
Non sono più una bambina.
E il mondo da domani si schiuderà a me, lo sento.
Infondo l'anno prossimo inizia il nuovo secolo.




Non smetterei mai di stare qui e leggere i miei amati libri.
La poesia illumina i miei giorni inquieti di contraddizioni.
Essere donna con un animo curioso è come essere un animale selvatico in gabbia: tutti ti guardano rapiti e affascinati ma nessuno osa avvicinarsi.
Per molti sei un pericolo.
Chissà se il futuro cela un uomo coraggioso quanto me?



Buona settimana
virginia 

(fonte immagini: Pinterest) 

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