Pandora (J. W. Waterhouse, 1896)
Sono
molti i motivi che possono portare a varcare la soglia del mio
studio.
Di
solito il denominatore comune è la sofferenza, qualunque sia il
sintomo col quale si traveste per essere vista ed espressa.
Non
è mai semplice iniziare, aprire il vaso di Pandora del dolore e
cominciare ad attraversare il territorio incerto del proprio passato,
con un interrogativo su tutti che da qualcuno viene dichiarato e da
altri solo lasciato vedere in controluce: riuscirò a venire a capo
di tutto? Risolveremo i miei problemi?
Quando
si comincia una terapia, tutto sembra difficilissimo e senza fine.
I
vecchi schemi disfunzionali, i comportamenti ripetitivi, le difese di
una vita, cercano di imporre le loro “leggi” conosciute, che fino
a poco tempo prima hanno funzionato, ma adesso non riescono più ad
arginare l'angoscia.
Le
figure del passato tornano prepotenti e coatte, fantasmi vociferanti
che pretendono ancora di comandare sul bambino interiore, inerme di
fronte al loro potere.
Un
tumulto di emozioni va districato con pazienza, separando le lacrime
dai sorrisi, la rabbia dalla tristezza, la delusione
dall'accettazione.
Il
tempo della terapia non è lineare, le cose lì non funzionano
secondo la logica della consequenzialità: è un percorso a spirale,
un passo dopo l'altro riannodare fili e ordinare vissuti, separare e
riattribuire significati.
Per
questo è complesso rendere esplicito un processo che resta
misterioso anche per chi lo vive, fino all'epifania che permette il
manifestarsi di tutto il lavoro fatto insieme.
A
volte è la prima giornata buona dopo mesi di caos, altre volte una
reazione diversa in una situazione creduta irrisolvibile, altre
ancora il rendersi conto che semplicemente quello che attanagliava
non è più al primo posto...
È
come se da tutto quel travaglio, finalmente sia venuta alla luce la
propria individualità, rimasta nascosta per troppo tempo, la vera
natura che ti appartiene e che, da un punto di vista adulto, possa
cominciare ad affrontare diversamente quello che prima appariva senza
soluzione.
Si
tratta di lasciar andare i fantasmi e pensare a sé.
Non
c'è una via univoca, ciascuno ha la propria strada e il proprio
viaggio interiore che però può essere contattato ed espresso sul
piano universale grazie a una intensa poesia di Mary Oliver
Un
giorno, finalmente, hai capito
quel
che dovevi fare, e hai cominciato,
anche
se le voci intorno a te
continuavano
a gridare
i
loro cattivi consigli
anche
se la casa intera
si
era messa a tremare
e
sentivi le vecchie catene
tirarti
le caviglie.
“Sistema
la mia vita!”,
gridava
ogni voce.
Ma
non ti fermasti.
Sapevi
quel che andava fatto,
anche
se il vento frugava
con
le sue dita rigide
giù
fino alle fondamenta, anche se la loro malinconia
era
terribile.
Era
già piuttosto tardi,
una
notte tempestosa,
la
strada era piena di sassi e rami spezzati.
Ma
poco a poco,
mentre
ti lasciavi alle spalle le loro voci,
le
stelle si sono messe a brillare
attraverso
gli strati di nubi.
E
poi c'era una nuova voce
che
pian piano
hai
riconosciuto come la tua,
che
ti teneva compagnia
mentre
procedevi a grandi passi,
sempre
più nel mondo,
determinata
a fare
l'unica
cosa che potevi fare -
determinata
a salvare
l'unica
vita che potevi salvare.
(Mary
Oliver “Il viaggio”,
Dream
Work, & New and Selected Poems,
Beacon
Press, 1992.)
Buona settimana
virginia
PS.
Qualche mese fa vi avevo già raccontato in cosa consiste un percorso
di psicoterapia, usando altre metafore e parole. Se lo hai perso lo
trovi qui
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