Prendo
a prestito il titolo del famoso romanzo della Austen, per parlarvi
della manifestazione del Gay Pride che c'è stata, anche a Vicenza,
lo scorso sabato.
Il
corteo che si è dipanato nelle strade della città è stato un
tripudio di colore, musica, applausi e allegria, condito con slogan
piccanti e provocatori, per scuotere e scioccare la facciata
benpensante che giudica, condanna o biasima, spesso senza conoscere
(o volerlo fare).
Inutile
dire che il progetto ha dato vita a numerose critiche soprattutto da
parte di chi vede l'amore coniugato solo al maschile e femminile, non
contemplando la possibilità che venga sentito e provato anche fra
esseri umani dello stesso sesso (perché se questo accade, dicono, “è
contro natura”).
Per
questo, numerosi striscioni riportavano il messaggio “l'amore è un
diritto per tutti”.
Ho
già parlato qualche tempo fa di questo argomento (lo trovi qui),
quindi oggi vorrei spendere qualche parola sul tema del rispetto.
È
stato molto bello vedere all'interno del corteo coppie, famiglie con
bambini, giovanissimi e meno giovani: testimonianza che la cultura
del rispetto affonda radici in persone vere, in valori che non sono
mutuamente escludentesi, bensì cooperano per rendere il mondo
migliore.
A
volte, leggendo i giornali in Italia, si osserva che la questione si
scinde fra la tolleranza che queste realtà possano esistere e la
negazione di assegnargli un riconoscimento istituzionale, come se
questo offendesse chi, nell'istituzione del matrimonio o della
famiglia, si può iscrivere a pieno titolo, perché rientrante nei
criteri “considerati giusti”.
Peccato
che il senso di giustizia venga usato in maniera tutt'altro che
imparziale, soprattutto nel nostro paese, alla mercé dell'uno o
dell'altro “potere”.
I
cori provocatori che ho ascoltato erano l'estremismo che spesso
diventa necessario per farsi ascoltare e vedere, per avere
un'identità quando gli altri non te la danno, perché per loro, così
come sei, tu non esisti. Hai un identità solo se decidi di essere
“normale”.
Inutile
condannare con sguardi truci e parole taglienti.
Lì
dietro c'è un bisogno, nascosto, intimo e delicato, perché quando
ci si accorge di non appartenere alla uniformità di intenti del
mondo, ci si sente estremamente vulnerabili e soli, incompresi, senza
possibilità di replica. Col timore di essere rifiutati proprio da
chi ti sta vicino, perché temi che ti ami, solo a patto che non crei
problemi, che sei come loro si aspettano che tu debba essere.
Tempo
fa ho visto un film belga bellissimo - “La mia vita in rosa”
di Alain Berliner – dove un bambino di sette anni, il piccolo
Ludovic, si scontra con il mondo degli adulti, che non capiscono la
sua domanda metafisica “sono un maschio o una femmina?” né
accettano la “sua” realtà: l'attesa, un giorno, di poter
diventare una femmina.
È
la storia di come un desiderio innocente venga trasformato in
tragedia.
Trovi il filmato in italiano qui
La
storia di Ludovic è la storia di molti, che hanno ricacciato giù,
come un nodo in gola, loro malgrado, la necessità di esprimere se
stessi, soprattutto nel luogo in cui uno si aspetta la maggiore
accoglienza: la propria famiglia.
C'erano
anche loro sabato: i genitori dell'AGedO (Associazione Genitori di
Omosessuali), che alcuni anni fa hanno creato questo video per
spiegare la possibilità di comprendere e accogliere la diversità
per renderla qualcosa di unico e speciale e non elemento di
esclusione.
Esattamente, come dice il titolo:
occorre essere “Due volte genitori”.
Perché
spesso è necessario rinascere a se stessi, a quelli che eravamo,
alle idee preconcette e ai pregiudizi, superare stereotipi che sono
trappole mortali.
Apprendere
una lezione dai propri figli, che forse proprio perché sono stati
vittime del pregiudizio, sono quelli che più hanno da insegnare sul
tema del rispetto.
Buona
settimana
virginia
2 commenti:
Sono originaria di Vicenza e so quanto questa piccola e meravigliosa città possa essere chiusa e bigotta. Per questo sono molto felice e orgogliosa del lavoro fantastico che hanno fatto gli organizzatori e della partecipazione che vi è stata, e mi auguro che non rimanga un evento straordinario ma che possa diventare una tradizione, nonostante tutti i commenti negativi e contrari, per ricordare che il rispetto e la libertà sono diritti di tutti, sempre. E che è giusto festeggiarli con allegria!
sono daccordo con te, Claire. (io mi sono decisamente divertita!):-)
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