mercoledì 16 febbraio 2011

Femmine contro Maschi


Sabato sono andata al cinema, a vedere la seconda parte del dittico di Brizzi, “Femmine contro Maschi”: volevo vedere fino a che punto l'immagine stereotipata dei due generi potesse arrivare, per far commedia e strappare sorrisi.
Non che mi aspettassi un documentario socio-antropologico sulle differenze di genere, ma neppure un tal tripudio di luoghi comuni. Ne sono uscita avvilita.
Il filo conduttore di tutto il film, che faceva da trade union fra i diversi episodi, (con picchi di vero e proprio autoritarismo in alcuni!) è stato il sottolineare come le donne pretendano a tutti i costi di cambiare i loro compagni, pur con sensi di colpa, espressi teneramente nell'episodio impersonato da Luciana Litizzetto come manipolatrice di vite altrui, la quale  “riprogramma” a suo piacimento la vita del marito - approfittando di una perdita di memoria -  perché esasperata dal fatto che è dedito solo alla Juventus, agli amici e, (da copione) all'amante.
Davvero abbiamo quest'immagine dei nostri uomini, come eterni Peter Pan, incapaci di ricordare una data importante, appassionati solo di calcio, fantacalcio, amici (che la location sia il bar, il tavolo da gioco o il gruppo rock poco importa), che goffamente rischiano di sbattere contro un palo della luce, solo perché persi nel fissare il sedere di una ventenne?
E davvero gli uomini ci vivono come arpie, comportandosi come bambini che hanno fatto una marachella, dovendo vivere nella menzogna perché altrimenti temono di subire ramanzine o, nel peggiore dei casi, di venir cacciati di casa?
E poi, se si allontanano da noi, perché non ci hanno rispettato, o tradito o chissà cos'altro, quando poi tornano, con la coda fra le gambe, pentiti e trasformati (dopo aver dimostrato il peggio) siamo davvero contente di ricominciare, consapevoli che l'input è stato solo il desiderio della loro mamma che in punto di morte vuol vedere la famiglia riunita? È giusto che l'amore venga visto come sacrificio dei rispettivi sogni e passioni, in virtù del quieto vivere?
Tutte queste domande hanno affollato i miei pensieri e tutto questo si narra nel film, con infondo quasi tutti lieto fine, con le donne che capiscono che forse sono loro a esagerare e si rendono partecipi e complici...meglio tardi che mai. Gli uomini chiedono scusa delle malefatte e rientrano nella routine quotidiana. E tutti vissero felici e contenti???
La sala era piena, soprattutto di coppie, e mi immaginavo quali riflessioni attraversassero le loro menti in alcuni momenti di risate a denti stretti: è vero si tratta di un film (e anche fra i peggiori che ho visto ultimamente), però vuol rappresentare uno spaccato di vita, ed evidentemente anche quei luoghi comuni nascondono in fondo delle piccole verità.
Certe cattive abitudini mettono radici giorno per giorno, complice la routine, la svogliatezza di confrontarsi sulle cose con costanza e assiduità.
Non si può decidere di stare insieme all'altro con la speranza di essere in grado di farlo cambiare, sperando che per osmosi si appassioni alle cose che piacciono a noi (e questo vale sia al maschile che al femminile). Si può essere in coppia rispettando le diversità dell'altro, ma non tollerandole a malapena, perché poi col tempo certi minuti fastidi, protratti per anni, diventano insopportabili.
La saggezza popolare ha un buffo detto che recita “le querce non fanno i limoni”.
La parte più saggia di noi, sa benissimo che l'altro non diventerà mai qualcosa di diverso da quello che è, però la nostra parte incosciente rischia di sperarci fino all'ultimo.
Che cosa si può fare allora?
Se ci poniamo in conflitto di genere non ne usciamo vivi: loro saranno sempre quelli che diventano scemi per una palla su un prato verde e noi quelle che perdono ore a fare i giri dei negozi e parlare di cose superflue.
Il rapporto può e deve basarsi su altri canali comunicativi.
La complicità di una coppia è qualcosa che esula dall'oggetto delle passioni, è qualcosa che si fonda sull'appagamento di bisogni reciproci profondi e veri.
Nei rapporti agli albori occorre chiedersi con sincerità se ci sono aspetti dell'altro che ci disturbano, senza mettere la testa sotto la sabbia e aspettare tempi migliori. In tal caso occorre affrontare subito la cosa e cercare una soluzione concertata in due, se si tratta di aspetti modificabili, oppure a malincuore, decidere di dare ascolto alla parte saggia che “sa” che gli sviluppi non saranno rosei.
Nei rapporti di vecchia data, spingo a chiedersi “su quali basi siamo arrivati fin qui?”
Non facciamo l'errore di “buttare il bambino con l'acqua sporca”.
Credo ci sia una possibilità di ritrovarsi (e voglio leggere così i lieto fine un po' melensi e scontati del film), purché non ci si riduca a far finta che non sia successo niente.
Occorre impegno, responsabilità, volontà, coraggio.
Si è in due a gioire ma anche a sbagliare, e tantopiù a ricominciare, quindi occorre confrontarsi, cercare di scoprire che cosa è successo, oltre a dare la colpa al passare del tempo, che non è mai l'unico responsabile.
Non ci accontentiamo di dire “lui/lei è fatto/a così” perché può essere una difesa dal vedere cosa in realtà l'anima dell'altro ci può svelare.
La crisi, qualsiasi crisi, può rappresentare davvero una nuova opportunità, a patto che siamo in due a voler attraversare il guado, verso la terraferma.
virginia 

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