martedì 1 febbraio 2011

Dottore, che sintomi ha la felicità?


Devi scegliere di essere felice, e non di avere ragione”.
Ho inserito questa frase,(che purtroppo non so attribuire, perché trovata chissà dove) sul profilo del mio facebook di qualche tempo fa.
Sul momento è stato un messaggio in bottiglia affidato alle correnti del mare virtuale di collegamenti casuali fra profili, ma da qualche parte, dentro di me, ha trovato dimora, riposando fra le pieghe della memoria, in attesa di essere ripescato, una volta che avesse inciso le sue radici nel fertile terreno del mio inconscio.
Nell'ombra riposava, come il pane quando lievita paziente sotto il telo di lino, finché oggi, mentre mi interrogavo sull'argomento della giornata...eccolo lì che fa capolino, suggerito dal verso della canzone, che poi ho usato come titolo.
Sul momento mi è venuto in mente anche il titolo del congresso di Psicosintesi dello scorso anno: "Cosa fai tu per essere felice?" Uffa...se ci fossi andata avrei avuto più spunti per scrivere! Oppure è meglio così, meglio quando possiamo attingere alla nostra vena di originalità, senza appigli, costretti a far emergere il nostro pensiero.
Cos'è la felicità? Come si manifesta nella vita di tutti i giorni?
È uno stato di continuo appagamento e realizzazione oppure qualcosa che al contrario si avvicina di più al nirvana, o all'atarassia epicurea – qualcosa che ha a che fare con la liberazione dal dolore o l'assenza di desideri – o addirittura un momento di gioia fugace, come quando da bambino stringi nel pugno il filo di un incerto palloncino, col rischio che da un momento all'altro se ne scappi via, lasciandoti con il vuoto fra le dita?
Rifacendomi alla frase iniziale, io credo che la felicità sia una scelta, e una questione di aspettative: io posso essere felice non solo quando realizzo bisogni fondamentali che danno senso alla mia vita.
Posso decidere di fare attenzione a tutte le piccole cose che ogni giorno mi fanno sorridere, che per un attimo mi sollevano l'anima da un piccolo o grande dolore o preoccupazione.
Posso scegliere di distogliere l'attenzione da tutto ciò che mi fa star male, anche se solo per un momento, e prendere una boccata di aria fresca, nella forma che più mi piace.
Posso permettermi di disattendere le rivendicazioni che mi fanno fossilizzare su questioni di principio, provare a relativizzare tutto ciò che mi sembra insormontabile (sub specie aeternitatis dicevano gli antichi: a chi importerà di questo mio problema fra cent'anni?) magari provando ad osservarlo da altri punti di vista.
Posso tenere un quaderno dei piccoli piaceri, divertirmi ad appuntare le cose che consolano il mio cuore nei momenti bui e farvi ricorso ogni volta che ne ho bisogno, come un piccolo prontuario di emergenza emotiva.
Col passare del tempo non avrò neppure bisogno di consultarlo, diventerà automatico andare a ricercare nel mondo circostante quei particolari che possono trasformare una lacrima in un sorriso.
Non si tratta però di autoconvincimento, è qualcosa che si vive e percepisce con tutti i sensi, col cuore e con la pancia, frammenti di senso profondo.  
Qualche giorno fa stavo guidando in autostrada, in un paesaggio monotono, con la mente concentrata sull'asfalto e su pensieri altrettanto grigi e rasoterra. D'un tratto, da un campo sterrato e desolato alla mia destra spicca il volo un airone, stupendo, leggero ed elegante. Dentro di me tutto si capovolge: in un attimo, un solo attimo, sono lì con lui, lo seguo e riesco a staccarmi dalla strada per raggiungere il cielo al tramonto.
È successo, come molte altre volte: un'affluire di energia positiva all'altezza del cuore, un senso di espansione ed appartenenza, la contemplazione della bellezza della natura, commozione, assenza di tempo e di spazio.
Mi sono sentita partecipe di questo pazzo, folle ma meraviglioso mondo.
Anche questo è un "sintomo" di felicità.
virginia

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